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MUSIC

Intervista ai Suicidal Tendencies



Penso che lunedì 3 luglio a Roma si sia svolto uno dei concerti più belli dell’anno, a detta dei presenti. Sarà stata la temperatura perfetta, la luna quasi piena, l’impianto che suonava in modo impeccabile, ma è raro assistere a un live così dannatamente riuscito.

I Suicidal Tendencies, la band californiana punk-hardcore-metal, è ritornata sulle scene alla grande con il nuovo disco World Gone Mad, uscito nel 2016.

E per celebrare questo “pazzo mondo” non poteva che esserci una serata all’altezza di questo nome.

Il concerto, che fa parte del World Gone Mad Tour europeo, inizialmente doveva svolgersi all’interno del festival romano ‘Villa Ada Incontra il mondo’, ma tre giorni prima c’è stato questo inaspettato ma azzeccato cambio di location al C.S.O.A. Forte Prenestino, il centro sociale che prima dei Suicidal ha ospitato artisti come Jello Biafra, Fugazi, G.B.H., Agnostic Front e altri gruppi leggendari che hanno segnato la storia della musica punk in generale.

Sono riuscita a intervistare i S.T.  in un clima rilassato e amichevole che solo un posto del genere poteva permettere. La band ha cambiato più volte formazione e stile musicale: dalla sua formazione nel 1980 a Venice, quartiere di Los Angeles, a oggi, è passata dal punk del primo disco a influenze funk, fino ad arrivare al trash metal e al crossover.

Attualmente, a parte lo storico leader e fondatore del gruppo Mike Muir e il chitarrista Dean Pleasants, fanno parte del gruppo il chitarrista Jeff Pogan, il bassista Ra Dìaz e il batterista Dave Lombardo, subentrati tutti nel 2016.

Ho parlato principalmente con Jeff Pogan.

Chiara «Innanzitutto grazie per l’intervista, il concerto è stato bellissimo, veramente».

Jeff «Grazie mille, e grazie a voi. Questa è la mia prima volta a Roma, suonare qui al Forte è stato veramente cool, i ragazzi sono stati ospitali, ci siamo sentiti i benvenuti, le vibes veramente buone e ci siamo divertiti molto».

Chiara «Com’è per voi suonare in uno squat? Vi capita mai in Usa?»

Jeff «In linea di massima noi in Usa abbiamo delle comuni, sono comunità di persone che collaborano insieme, che costruiscono un progetto condiviso e soprattutto che cercano di vivere fuori dalle logiche del potere».

Dato che durante la serata l’attenzione di numerosi fans si era concentrata sul nuovo componente Dave Lombardo, leggenda del metal e storico batterista degli Slayer, chiedo a Jeff Pogan com’è averlo nel gruppo.

Jeff «È incredibile, è come avere un gigante dolce e adorabile, è il migliore, è un mostro. Non so davvero da dove cominciare per descriverlo perché è veramente un bella persona, di grande umanità, ho solo parole positive per lui, è un killer drummer, è fortissimo, fa squadra e unisce il gruppo. Guida anche il tour bus con il quale viaggiamo, sa fare tutto ed è una persona generosa. Un grande a 360 gradi».

Chiara «È cambiato il vostro stile con Dave?»

Jeff «Sì, decisamente. Dal 2003 il groove dei Suicidal è cambiato molto, è andato avanti perché ci sono state delle contaminazioni nei vari elementi, specialmente nella batteria, e  personalmente sono molto contento di avere Dave nel gruppo, perché è un mito del trash metal, è un batterista leggendario in generale, è potente, e le due casse in parallelo che suona le senti, si percepiscono. Dave ha qualcosa in più rispetto ai batteristi precedenti, è incredibilmente differente ed è uno dei batteristi che riesce a fare i fills più veloci».

Personalmente ci ho messo un po’ a digerire questa serata e a scrivere questo articolo. Forse perché non si è trattato di un semplice live, ma del concerto migliore che ho visto negli ultimi anni e perché per me il Forte è come una seconda casa e l’impatto è stato notevole. Un amico mi raccontava, qualche giorno fa, che i Suicidal stavano a palla nello stereo del pub del centro sociale già nel 1987 e che con questo concerto è come se si fosse chiuso un cerchio.

Durante la serata ho visto pogare gente di più di 50 anni e gli abbracci di amici che non si incontravano da vent’anni. In poche parole, una data epocale.

Ma adesso andiamo più nello specifico del live.

Dopo l’apertura del gruppo grindcore romano Buffalo Grillz, i Suicidal Tendencies hanno iniziato con “You can’t bring me down”, un inizio potente e perfetto per la location, con Mike Muir che cantava “Fight for what I know is right…You can’t bring me down”. Lo spirito ribelle e anticonformista viene fuori anche nel video di questa canzone, dove è rappresentato il divieto per la band di fare concerti pubblici a Los Angeles, con l’immagine di una prima pagina di giornale con scritto “Suicidal Tendencies Banned In L.A.” e con Mike Muir che viene fatto prigioniero e alla fine giustiziato sulla sedia elettrica, nonostante la rivolta dalla sua gang (rappresenta dai fans), che cerca di aiutarlo a fuggire.

Nel video si vede anche la Costituzione degli Stati Uniti che viene pugnalata, a dimostrazione del limitato diritto della libertà di parola. Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta, infatti, i S.T. vennero messi al bando e fu proibito loro di suonare dal vivo a Los Angeles; furono accusati di incitare all’odio, per i testi violenti e ostili alla politica statunitense, e al suicidio, per la morte di diversi adolescenti associata banalmente al nome Suicidal Tendencies, vicenda più volte smentita da Mike Muir. Invece, come si può ben intuire da numerose tracce e da un’altra fondamentale canzone del 1987, War Inside My Head, suonata anche al Forte Prenestino, il nome e l’attitudine della band è più l’espressione di un disagio, di un’alienazione e, potremmo dire, di uno spleen punk esistenziale: “War inside my head every night and day, I never get no peace of mind”. La guerra è nella testa e trovare la pace è impossibile.  

Il concerto è poi continuato con altri pezzi strepitosi, come un classico dello skate punk Possessed to skate, con la canzone dell’ultimo disco Clap Like Ozzy, chiaro tributo al leader dei Black Sabbath, e si è chiuso con una bomba come Living for life; il video l’ho visto per la prima volta sulla pagine Instagram di Jeff Pogan e sempre sullo stesso social, qualche settimana prima del concerto, ho notato che a Los Angeles il primo giugno scorso c’è stata l’inaugurazione di un murales dipinto dall’artista Robert Vargas, raffigurante il volto del “Cyco Miko” Mike Muir.

Sono rimasta alquanto perplessa soprattutto perché l’opera è stata commissionata dal Comune di L.A., all’interno di un programma di riqualificazione del ponte della Sixth Street a Downtown est, e voluta dal sindaco democratico Eric Garcetti e sostenuta dal consigliere comunale Jose Huizar.

Il ponte, abbattuto nel 2016 e adesso in fase di ricostruzione, collegava l’Arts District con il quartiere latino americano Boyle Heights ed è stato lo scenario di numerosi film, video musicali e video games ( chi conosce Grand Theft Auto, San Andreas lo ricorderà sicuramente).

Il sindaco Garcetti ha addirittura inciso una canzone ‘rap’ prima della demolizione, per dimostrare il suo impegno nella causa di rilancio del posto.

L’idea che il frontman e il membro fondatore dei S.T. sarebbe stato un giorno l’oggetto di un enorme murales pubblico, legale e sponsorizzato dalla città in passato poteva sembrare assurda e irrealizzabile, dati i numerosi divieti e le voci sul fatto che Mike Muir e gli ex componenti dei S.T. appartenessero a una gang con la bandana blu e il numero 13 come segno distintivo.

Oggi, invece, il leader è visto come un’icona della scena musicale di Los Angeles e la sua immagine non è più stigmatizzata e legata alla messa al bando di esibirsi dal vivo. In ogni caso, durante quel live sono successi vari disordini e quindi ne approfitto per farmi spiegare bene cosa sia accaduto.

Chiara: «Ci puoi raccontare cosa è successo a Los Angeles il primo giugno scorso?».

Jeff: «In linea di massima la situazione che si presentava era questa: era un concerto gratuito per la celebrazione del murales di Mike. Noi pensavamo di suonare trenta minuti e che sarebbero venute 500 persone e invece, dieci minuti dopo l’apertura delle porte, c’erano 2.000 persone fuori che volevano entrare. Quando abbiamo iniziato il live, dopo pochi minuti, sono arrivate le forze armate che si sono scagliate sul pubblico. Sono intervenuti addirittura gli elicotteri della polizia di L.A.. Noi abbiamo provato a restare sul palco a suonare, ma durante la terza canzone abbiamo dovuto smettere. Abbiamo chiesto di fare un’ultima canzone ma la risposta è stata “No, dovete fermarvi”. È stato assurdo. Il motivo era che quell’area non riusciva a contenere tutta quella gente e per motivi di sicurezza hanno dovuto fermare il concerto».

È ironico il fatto che durante quell’inaugurazione, che doveva rappresentare la riqualificazione di un quartiere ma soprattutto il riscatto di una band precedentemente ostacolata in tutti i modi dai politici della città, sia finita nel caos più totale, in perfetto stile punk ribelle. Segno che l’attitudine nel tempo non si cancella.

Che dire di più di questa serata e di questa band…STAY CYCO, STAY SUICIDAL!

Articolo a cura di: Chiara De Carolis.