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Chef Ragoo: L’mc romano si cimenta sulla lunga distanza



“Il disco è uscito ad inizio novembre. Ci hanno collaborato alcune ‘entità’. Ho degli amici che sono produttori, ed anche editori, fondamentalmente di roba mainstream. Si sono prese le edizioni e hanno fatto la pubblicazione su Itunes. Mentre invece un negozio di Roma, “Radiation Records”, che solitamente vende punk ed è di proprietà di un amico, il bassista della mia band, ha coprodotto con me il disco. Tutto il resto è stato gratis, perchè le voci sono state registrate in casa mia, poi ho passato le accappella a Little Tony Negri, aka David Nerattini, che ha mixato tutti quanti i beat che ha coprodotto con me, e quindi abbiamo fatto il disco tra le nostre due case. Poi ho fatto il mastering in un post dove molti fanno il mastering. Il tutto è un lavoro abbastanza casalingo.”

Così Paolo Martinelli, in arte Chef Ragoo, presenta la realizzazione di “La compresenza dei morti e dei viventi”, primo lavoro sulla lunga distanza per l’mc romano, che ormai da anni divide la propria carriera tra un microfono e la sua punk band, gli Anti You. Questo senza essersi fatto mancare l’occasione di fare l’attore nel cult movie “Zora la Vampira”, esperienza che però, come leggerete nell’intervista, ha finito per alienarlo dall’hip hop e dalla scena.

Da ricordare inoltre la sua presenza, a nome P.P.T., su “I messaggeri della Dopa” di Neffa. Segue un periodo di ricostruzione personale, fatto di psicanalisi e di musica, tanta musica, non più le rime in quattro quarti, ma l’urgenza di sentirsi vivi gridata a pieni polmoni, assieme al suo gruppo hardcore. Poi, come in ogni discorso lasciato a metà, il ritorno alle origini, che si manifesta con la pubblicazione il mese scorso di “La compresenza dei morti e dei viventi.”

Chef presenterà il suo lavoro a Firenze nella prossima serata Local Heroes al Logic Club, giovedì 22 dicembre, assieme a Dj Shot, Dj Morph e la crew dei Cronofillers.

Sei soddisfatto del risultato?
Sono abbastanza soddisfatto del disco, che copre un lungo arco di tempo. Conta che alcuni pezzi hanno 5 anni…

Le più vecchie ad esempio quali sono?
“La vittoria della sconfitta” è la più vecchia. “Senza meta” è una delle più vecchie. Anche “L’orataria”. Quelle son canzoni che ho scritto attorno al 2006-2007. Il video di “Silenzio Statico” l’abbiamo girato nel 2008, e nel frattempo è cambiata la base, per dirti.

Questo può esser considerato il tuo primo disco? O no?
Beh è sicuramente il mio primo album. L’altro era 5 pezzi. Quindi, si.

Come mai arriva così tardi questo disco?
Arriva così tardi rispetto al periodo mio, quello per cui la gente mi definisce old school, quindi “La banda der trucido”, l’EP, Zora la Vampira, ecc., ecc. Arriva tardi perchè, ad un certo punto, mi son rotto il cazzo ed ho mollato il rap. Proprio per dirla semplicemente. Dopo Zora la Vampira ho avuto un bel crollo nervoso, per cui non avevo voglia di salire su un palco, non avevo voglia di stare a pensare al rap. Poi mi è diventata antipatica la scena. C’era una competitività stupida per cui andavi a far un concerto e la gente ti guardava male sotto al palco. C’erano più presi male che presi bene. E allora vaffanculo. Ma che cazzo lo faccio a fare?

Questo è quello che racconti in “Implorando”, no?
Si. E’ quello che in realtà racconto in tutto il disco. E’ un album che, da un certo punto in poi, ho cominciato a vedere come un concept: quello che mi è successo dal 2001 al 2010. E quindi è l’arco della ma vita in cui ho avuto cazzi mentali. Ho smesso di andare dall’analista, ho scritto l’ultimo pezzo del disco, ed a quel punto mi son detto: “Ok è pronto, posso registrarlo e chiuderlo”. E’ stato un percorso di vita che mi son ritrovato a – come dire… – andavo dall’analista, facevamo analisi, dopo di che tornavo a casa e mi mettevo a scrivere delle cose. Nei testi riuscivo a far chiarezza sulle cose, quindi il disco sono io che faccio i conti con il passato, sperando di aver chiuso un capitolo.

Perchè ti eri rotto il cazzo dell’hip hop?
Mi mancava quello che invece avevo trovato nella scena punk/hardcore che frequentavo da pischello, ovvero l’aspetto umano. Nel contesto punk io avevo un casino di amici, di giri, di scene, conoscevo gente in tutta Italia, eccetera. Questo un po’ succedeva anche nella scena rap, però molto, molto meno. E poi c’era questo discorso di dover esser sempre imbruttiti – anche io, eh – di dover esser sempre il più spacchiuso, di dover tener questo atteggiamento di sfida costante, che alla fine non mi assomigliava nemmeno.

Mi ero costruito un personaggio nel quale stavo molto a disagio, nel quale alla fine ci stavo proprio stretto. Per cui l’ho mollato, mi son fatto ricrescere i capelli fino ai capezzoli, ed ho ricominciato a suonar hardcore, e continuo tutt’ora! Adesso son riuscito a trovar una maniera di far rap nella quale mi trovo a mio agio. E soprattutto ho scoperto che non sono cresciuto solamente io, in tutto questo tempo, ma sono cresciuti anche quelli della vecchia scuola. Per cui adesso mi trovo con un rapporto molto bello con Colle Der Fomento, con Gente de Borgata, con Broken Speakers. Adesso, all’interno della scena, ho dei bei rapporti che mi fa piacere mantenere, e persone che mi fa piacere andare a vedere, suonarci insieme, eccetera. Prima non ce li avevo e quindi mi sentivo un po’ disagiato.

Dell’hip hop di adesso cosa pensi?
Beh, intanto per me è complicato parlarti dell’hip hop, perchè io non sono uno che segue la scena dei writer, non sono uno che segue i bboys…

Ok parliamo del rap allora.
Il rap mi sembra che stia messo abbastanza bene. Mi sembra che ci sia abbastanza gente valida. Ha il problema che ha tutta la musica, ovvero l’home recording prodotto quasi quotidianamente. Hai una tale quantità di roba che ricevi che alla fine non c’hai manco voglia di sentirteli tutti, e questo lo dico con tutta la simpatia che ci posso avere per i pischelli che mi dicono: “Ascolta questo, ascolta quello.”

Però, ecco, c’è un livello un po’ più alto, che raggiunge abbastanza persone, che mi sembra anche abbastanza buono: anche il mainstream mi sembra meglio di una volta. I gusti son gusti, però secondo me Fabri Fibra e Marracash sono molto più rap di quanto potevano esserlo gli Articolo 31 al tempo, cioè quello che arrivava ad esser veramente mainstream a me non piaceva. Roba che trovo, quella si, veramente commerciale. Questa di oggi, qualcuno può considerarla brutta, ma a me sembra tutto sommato rap.

Tu vieni dal mondo dell’hardcore. Riesci a tracciare un filo di unione tra la scena punk e quella rap?
Si, ce ne sono un paio. Uno è strettamente musicale, ossia è vero che ci stanno nel rap musicisti bravissimi, e che se tu non fai tanta pratica, e non hai tanto talento, non lo diventi, però è anche vero che bastano un beat ed un microfono e chiunque si può mettere a rappare. Questo era il concetto del punk, era “get on the stage”, dove chiunque saliva sul palco e diceva quel che aveva da dire.

Da questo punto di vista l’approccio è molto simile. La storia del rap italiano ci mostra che, per esempio, la scena di Bologna partiva dal punk/hardcore. C’è questa urgenza direi di fondo, che io ho proprio sentito quando ho mollato per la prima volta il punk nel ’94 per mettermi a fare rap. Non sentivo più la tensione sociale, politica, anche “stradaiola” della musica punk. C’era tutto un momento di sonorità più allegre, i NOFX, gli Offspring, cominciava ad esserci questo punk più leggero e a me non dava soddisfazione, a me piaceva molto l’aggressività del punk.

Quando questa cosa è venuta a mancare, e mi hanno passato i Sanguemisto, i Gravediggaz, il Wu Tang, eccetera, anche se magari questi gruppi americani non pubblicavano i testi, e tu ci capivi il giusto, lì la sensazione era quella che stavo cercando. Se senti miei beat, vedi che molti campioni sono da colonne sonore di film horror, cose orchestrali, cose sinfoniche, molto cupe e tenebrose. Era quello che mi piaceva del punk, ed era quello che mi avevo attratto all’inizio del rap, anche se poi, chiaramente, del rap ho iniziato ad apprezzare anche le altre sfaccettature, come quelle più gioiose e funky.

I beat del disco sono tuoi?
I beat sono prodotti in prima battuta da me, e poi hanno subito un grosso processo di revisione da parte di Little Toni Negri. Due o tre beat invece sono proprio suoi.

Chi sono i morti ed i viventi che danno il titolo al tuo disco?
Una mattina su Rai Storia ho trovato un documentario su questo personaggio dell’antifascismo cattolico chiamato Capitini. Questo è un filosofo, che aveva pubblicato un libro dal titolo “La compresenza dei morti e dei viventi”. Mi è piaciuto immediatamente, senza in realtà capire cosa volesse dire, e a tutt’oggi non sono sicuro di aver capito il pensiero di Capitini, che è abbastanza complesso. Quello che ci vedo io è l’unica forma di religiosità che riesco a percepire, cioè che le persone, sia vive che morte, non ci lasciano finchè “le teniamo dentro”, per così dire.

Una storia che si interrompe, un amico che perdi perchè magari litigate, così come le persone che ci hanno lasciato perchè ahimè sono morte, fanno parte del nostro universo. Questo è un disco fatto di persone andate, di tempi andati, ma anche di voglia di essere nel presente, e quindi mi sembrava che quel titolo del libro di Capitiini corrispondesse a quello che volevo dire all’interno del disco.

Quindi se ho capito bene hai preso il titolo del disco da un libro di un antifascista cattolico. Però, se non sbaglio, tu sei conosciuto anche per esser un personaggio fortemente anticlericale.
No, non sbagli assolutamente. La storia del punk in Italia, molto più che in altre nazioni, è coincisa di brutto con la nascita del movimento anarchico ed i centri sociali, per cui io vengo da lì, quello è il mio background. Ovviamente sono anticlericale, ovviamente sono ateo. Ciò non toglie che se uno è antifascista, soprattutto quando c’era da esser antifascisti, quindi quando c’era da far la resistenza, lo ascolto con più attenzione, anche se è cattolico. E poi, comunque sia, non sono un intollerante, sono uno che ascolta tutti. Dopo di che, le cose che dicono normalmente i cattolici, che si basano sui dogmi, mi entrano in un orecchio e mi escono dall’altro. Non le filtro nemmeno, proprio non mi interessa.

Cosa pensi oggi di Zora la Vampira? Che sensazioni ti evoca quel film?
Per me è stato un gran casino. Perchè “mi son fatto il viaggio” di fare quel mestiere nella vita.

Cioè l’attore?
Si. Quando poi la cosa non ha funzionato per niente, anche perchè poi io da buon pigro, estremamente romano, non mi sono mai cercato un agente, e quindi mentre altra gente ha continuato a lavorare, io sono rimasto completamente al palo. Manco il figurante ogni tanto: non ho fatto praticamente più un cazzo. Questo mi ha buttato veramente giù, da un punto di vista mentale, per un bel periodo.

Il film in realtà non mi fece impazzire all’inizio e non mi fa impazzire adesso. Trovo che sia un po’ fuori fuoco come narrazione, poi sai io sono anche abbastanza cinefilo, per cui posso dire che è un oggetto di culto, che molti pischelli mi fanno i complimenti per il film, eccetera. Secondo me la mia prestazione è stata SCANDALOSA in quel film (ride). Ho fatto veramente cacare ad un livello estremo. E però comunque mi fa piacere, anche perchè alla fine è rimasto per un bel po’ di tempo qui in Italia, insieme a “Senza filtro” degli Articolo 31, l’unico film che usava dei rapper come attori. Credo che abbia un suo valore storico. Sul valore del film in sé non saprei. Meglio che non dico un cazzo.

La scena romana invece come la vedi oggi?
Io la vedo molto bene, mi sembra che ci siano pochi scazzi, se mi metto a far nomi facciamo notte.

Ok non facciamoli.
Ma no, ma facciamoli anche. A parte i soliti noti, tipo Gente de Borgata, Colle der Fomento, Cor Veleno, questi sono nomi assolutamente fuori discussione, dei campioni. E poi ci sono sia Nacapito Crew, con Suarez e Lino, Cruel T, Broken Speakers, e chi più ne ha più ne metta. C’è tantissima gente che io reputo di buon livello, con dei buoni testi, e soprattutto persone alla mano che non c’hanno voglia di litigare, piuttosto preferiscono quando ce ne stiamo tutti quanti in tranquillità, a farci una birra assieme senza rompere i coglioni. Mi sembra un dato fondamentale.

Degli Anti You invece, il tuo gruppo punk, cosa mi dici?
E’ nato nel 2005 ed è il gruppo col quale riesco a fare quello che volevo fare fin da quando ero pischello. Io alla fine non sono un gran compositore di musica, non sono mai stato quello che scrive i riff, ma il problema è che mi trovavo sempre a suonare con gente che non condivideva mai esattamente la mia idea di hardcore, quella originaria dell’81.

Invece mi sono ritrovato con questo gruppo, quasi tutti miei coetanei, tutti appassionati di questo tipo di roba. Quindi posso dirti che il gruppo mi piace un casino. E che attraverso determinazione, ed anche un po’ di culo, siamo riusciti a pubblicare il nostro disco negli Stati Uniti, e da lì in poi tutti i nostri dischi sono stati stampati da etichette americane di un certo livello. Abbiamo potuto fare un tour di due settimane negli States, che è stata un’esperienza formativa bestiale.

E poi, sai, io sono un compagnone, per cui è stata anche un’esperienza conoscere gente che poi posso tornare a trovare a casa loro, dormire in salotto, cucinargli la pasta al ragù a Richmond in Virginia, cazzo ne so… Ho preso un casino di contatti in giro per la costa est degli Stati Uniti, sono stato benissimo. E quindi continuiamo a suonare nonostante nascano figli, il lavoro, cazzi vari, il fatto che ormai tutti c’abbiam quasi 40 anni, però non abbiamo nessuna intenzione di smettere. Magari siamo un po’ più rilassati come agenda del gruppo, non siamo sempre on the road, però abbiamo decisamente intenzione di continuare per un bel po’.

Chef Ragoo – 3mst

“Questo Natale ce ne andiamo sul Nilo, a Miami
c’è un filo che lega gli schemi
dai produttori, agli editori
dai giornalisti fino agli imbonitori
della politica, perchè si litiga
ma quando arriva la pasta tutti in tavola
questo paese è una favola, tutte ‘ste chiese
e tutte queste persone cerebrolese
non ce se crede, campioni di incassi
sono gli stessi film dell’altro anno rifatti
ho fissato disperato il box office saturo
hanno snaturato il mercato
hanno capito che sticazzi delle idee
se è possibile sfornare un remake, pazzi!
sfruttano comunicazione come i nazi
trasformano in idioti i ragazzi”

Ok un’ultima cosa: mi è piaciuto molto il testo del pezzo “3mst”, dove tu dici che “c’è un filo che lega gli schemi”. Cosa intendi con questo?
Beh, una parte è una rima, nel senso non sono così dietrologo, non sono così complottista. In realtà però c’è un filo nella produzione culturale italiana, che è quello del “cazzo fatichiamo a fare se possiamo fare sempre la stessa cosa”. E questo mi sembra in realtà il punto di quella canzone, per cui il filo che lega gli schemi è: fanno tutti la stessa roba, rifanno tutti lo stesso libro, rivogliono tutti leggere lo stesso libro di Fabio Volo, rivogliono vedere tutti quanti la vacanza a fanculo da qualche parte, così come nella musica tutti rivogliono sentire la canzone della Pausini, che è la stessa canzone che io sentivo da bambino a Sanremo nell’82, gli stessi arrangiamenti in pratica, leggermente modernizzati.

Il pop in pratica – mi sembra che ci fosse un gruppo che si chiamava “Pop will it eatself” – il pop si rimangia e si ricaga, rimane lo stesso in tutte le forme di arte popolare che vengono espresse in questo paese. E questo è chiaramente uno schema per non far mai progredire il gusto. Direi che la scena rap e la scena punk in questo paese, e forse anche qualche altra scena musicale, sono delle scene fortunate, perchè sono riuscite a sfuggire a quella massa di mediocrità che c’è nel resto della produzione. Se uno guarda quello che succede in Spagna, o in altri paese non anglofoni, vedi che c’è una produzione molto più seria, escono dei film della Madonna, escono scrittori “de Cristo”, e qui in Italia c’è gente brava e la teniamo nel sottosuolo.

Ok grazie. Vuoi aggiungere altro?
Casomai lo farò quando sarò a Firenze.

Va bene Paolo, un saluto.
Ciao Da, grazie.