La politica dell’improvvisazione in danza
Il verbo improvvisare allude alla creazione di sequenze di movimento mentre ci stiamo di fatto muovendo, “in una situazione i cui effetti continuano ad accadere e possono essere modificati”, modificando il senso stesso di quello che stiamo danzando. Si può definire come il momento in cui composizione ed esecuzione coincidono dando vita a una forma di composizione in tempo reale.
La competenza per tale pratica si costruisce attraverso un lungo lavoro di esercizio ed esperienza, per cui non si crea quasi mai dal nulla, ma dal recupero di un background di conoscenza corporee e di esercizio fisico e mentale per raggiungere l’efficacia adeguata.
Nonostante l’esistenza di una grande quantità di stili e modi diversi di pensare l’improvvisazione, poiché probabilmente ve ne sono tanti quanti i danzatori che la praticano e la insegnano, esistono delle linee guida comuni che costituiscono la base di una buona tecnica per improvvisare col corpo. A tale proposito mi riferirò a Sparti, che ha brevemente riassunto le condizioni dell’improvvisazione nel jazz. Queste, non a caso, sono valide anche per l’improvvisazione in danza:
1. Inseparabilità. Composizione ed esecuzione sono atti inseparabili nell’improvvisazione, viene quindi mostrato il processo creativo nel momento in cui accade. Nelle coreografie invece creazione e composizione avvengono in un momento precedente all’esecuzione.
2. Originalità. In questo senso ogni perfomance non sarà mai uguale all’altra, poiché irripetibile. Originalità è intesa anche come potere di sorprendere, come “capacità di spingersi al di là del noto”.
3. Estemporaneità. In quanto avviene nel presente, in un qui e ora che non permette di avvalersi di materiale preparato precedentemente. Ma nonostante ciò è un’attività situata, che non nasce dal niente, ma da una lunga preparazione .
L’espressione – di Quintiliano – ex tempore actio significa un’azione che non è frutto di un lungo e giudizioso processo deliberativo, ma è come se avvenisse fuori dal tempo, e non solo nel senso che accade proprio adesso, in questo fragile istante, ma che accade in un adesso che è inatteso (e tuttavia opportuno), un momento irripetibile e tuttavia propizio.
4.Irreversibilità. Nell’atto di improvvisare si può solo proseguire, non è possibile tornare indietro e cambiare ciò che si è fatto. E’ possibile “solo continuare a partire da quanto già eseguito”9. Come dice Sparti non vi è “istituto del perdono”, nel senso che anche non esiste atto che possa cancellare quello precedente, si può solo continuare.
5. Responsività. In questa pratica vige l’esigenza di essere attenti agli stimoli forniti da musica, corpo e spazio ed essere in grado di reagire velocemente a questi. Ciò deve avvenire in tempi molto ristretti, poiché a differenza della coreografia, la composizione avviene istantaneamente. Essere responsivi è quindi una qualità estremamente importante per un perfomer.
Affordance
Negli anni Sessanta lo psicologo James Jerome Gibson sostenne la teoria secondo la quale animali e esseri umani vedono il loro ambiente circostante non in modo oggettivo, quindi come forme e volumi, ma in base al loro potenziale comportamentale. In altre parole, percepiamo immediatamente ciò che vediamo in termini di come pensiamo di poter interagire con esso. Facendo un esempio: guardando una sedia vediamo la sua sedibilità, guardando una tazza di caffè vediamo la sua afferrabilità o la sua capacità di contenere un liquido.
Sparti ha riadattato questo termine per spiegare il meccanismo che si innesca durante l’improvvisazione. Egli definisce l’affordance come “ciò che offre la possibilità di un’azione non ancora intrapresa (e che non necessariamente verrà di fatto intrapresa)”.
Riportando questa definizione nel campo del movimento possiamo quindi dire che un movimento agevola quello successivo, senza esserne necessariamente la causa. Poiché tale atto non obbliga ma permette una risposta. Infatti la risposta dipenderà in realtà “dal bagaglio di conoscenza e dalle capacità inferenziali di chi riceve – e poi agisce su- quell’atto articolando appunto il suo sapere di sfondo”.
Trovo che la definizione di Sparti sia estremamente calzante per questo ambito, poiché la danza ha effettivamente a che fare con l’affordabilità dello spazio. Il lavoro di un performer ha anche a che fare col percepire lo spazio tra corpi, tra volumi, tra architetture e darvi un significato spesso diverso dal quotidiano. Nel mio primo periodo di formazione nel campo dell’improvvisazione mi colpì una frase che il mio insegnante, Alessandro Certini, spesso ripeteva: “ la danza non si trova in me o in te, ma proprio nello spazio che creano i nostri corpi”, ciò mi ha stimolato a concepire la danza come qualcosa che non produco io da sola, ma che si crea nell’interazione con ciò che mi circonda: il muro, il pavimento, gli altri corpi, e i dettagli come buchi e venature nel legno o la consistenza del muro, tutto può diventare stimolo, basta trovare il modo di sfruttarne l’affordance.
Come Sparti sottolinea la reazione alla affordance non è arbitraria , ma è la continuazione più prossima alla sollecitazione fornita, di modo che, per chi guarda (o scolta nel caso del jazz), sia possibile tracciare una connessione con l’atto precedente. Per agevolare questa comprensibilità è molto importante che i performers siano capaci di dosare molto bene la durata di ogni singola azione e la quantità di azioni che si stanno svolgendo in scena. Infatti un’eccessivo accumulo di frasi danzate rende illeggibile la dinamica che si instaura tra i performers in azione, come d’altro canto esiste un tempo fisiologico per il pubblico di assimilazione di un’azione, per cui a volte l’uso di pause e fermate aiuta a spezzare il flusso di movimento e a renderlo leggibile. Il termine che si usa in queste situazioni è “asciugare”, che si intende sia nel fatto di chiarire l’affermazione che si ha intenzione di proporre con tale movimento (che quindi non può essere casuale ma deve avere una valenza comunicativa anche se astratta), sia nel senso di ridurre la quantità di proposizioni, trovando invece un modo di valorizzare anche quelle degli altri, affidandosi appunto all’affordabilità di tali movimenti.
Il tempo dell’improvvisazione
Un danzatore contemporaneo durante la sua formazione si troverà sicuramente a dover studiare diverse forme di improvvisazione, infatti, come abbiamo detto precedentemente, questa oltre che una pratica performativa è una pratica indispensabile per effettuare una ricerca sul corpo per scopi coreografici e, in entrambi questi settori, esistono stili e modi di pensare diversi. Potremmo quindi distinguere in generale tra un’improvvisazione di studio e un’improvvisazione performativa. Si tratta di due approcci abbastanza diversi, poiché sono diverse le finalità. Sono comunque attività compenetranti e indispensabili l’una all’altra. In ogni caso è richiesta un’estrema sensibilità che necessita di molta concentrazione e dedizione per essere raggiunta.
Nel caso di studi coreografici l’attenzione si focalizza sul produrre materiale ed essere quindi in grado di accedere al materiale prodotto anche in un secondo momento. In questa situazione quindi sono indispensabili ripetizioni, sviluppi e leggere variazioni di uno stesso movimento, per poter essere in grado di sviluppare una memoria fisica e di indagare tutte le possibilità espressive di un singolo segmento danzato. La dimensione temporale cambia, i tempi “scenici” sono, per quanto sempre importanti, in secondo piano e vengono considerati al momento della composizione.
Nel settore performativo dell’improvvisazione invece il “quando” assume un ruolo fondamentale per la fruibilità del pubblico. Infatti è necessario chiarire immediatamente ciò che si sta producendo, in questo senso è utile saper gestire la tempistica per rendere il ritmo della performance leggibile e al tempo stesso godibile. Quindi bisogna essere capaci di sentire “quando” entrare in scena, “quando” uscire, “quando” finire, “quando” lasciare il tempo di sviluppare qualcosa o “quando” interromperlo. Imparare a gestire il “quando” è indispensabile, ma è estremamente difficile non lasciarsi prendere dall’irrefrenabile istinto di riempire lo spazio e il tempo di movimenti. Improvvisando ci si sente spesso in un flusso, in cui da una cosa nasce un’altra e poi un’altra e poi un’altra, si genera un tempo interno, condiviso dai performers, che può portare a un movimento continuo e indistinto dal ritmo piatto e noioso, tra l’altro tendenzialmente incomprensibile. Si tratta di dosare con estrema attenzione e di riuscire a percepire la composizione che si sta creando momento per momento anche dall’esterno, dando il giusto tempo all’osservatore di entrarvi partecipando col suo sguardo.
Sempre a proposito del jazz Sparti dice:
Il jazzista compone nel presente, mentre questo si compie, ma tale presente viene esteso in modo ritenzionale e protenzionale, […]. Posso infatti ricordarmi quello che ho suonato fino adesso attraverso la ritenzione – termine che esprime il nesso fra quello che suono (o ascolto) e quello che ho suonato un paio di note fa, e che viene ancora trattenuto (o “ritenuto”, appunto) – nonché attraverso la riproduzione, la quale rinvia ad una seconda forma di memoria, relativa a un passato non contiguo ma più remoto, ad esempio una figura musicale che è parte del mio repertorio, o un passaggio che ho suonato eseguendo lo stesso brano due anni fa. E posso anche presentire il futuro attraverso protenzioni (le aspettative sul futuro immediato che si formano mentre suono) e anticipazioni di un futuro più lontano e indeterminato […]. In questo senso chi improvvisa esibisce l’accadere del tempo.
Questa cornice temporale pone il performer in una condizione particolare in cui si è in qualche modo vincolati a ciò che si è appena svolto, come dicevamo anche in precedenza possiamo solo continuare.
Limite
Porre dei limiti restrittivi all’improvvisazione è interessante sia nel campo della ricerca coreografica sia in performance. Come abbiamo appena detto il danzatore è comunque vincolato da ciò che ha fatto pochi secondi prima, quindi il concetto di vincolo e di limite è in qualche modo insito nel concetto stesso di improvvisazione. Nel jazz si usa rielaborare pezzi di repertorio improvvisandovi e rielaborandoli. In danza una tendenza è quella di improvvisare preparando strutture, dandosi appuntamenti, o anche scegliendo limitazioni nella qualità di movimento.
Nell’Improvvisazione di ricerca coreografica è molto importante riuscire a stabilire dei limiti e mantenerli, questi infatti più sono stretti e limitanti più permettono di uscire dagli schemi usuali. Il corpo tende a costruire dei percorsi privilegiati per cui è molto facile che alcune qualità di movimento ci rimangano più “affezionate” ripresentandosi improvvisazione dopo improvvisazione. Il vincolo di dover stare in una specifica qualità o in uno specifico soggetto aiuta il corpo a uscire da tali pattern e permette di scoprire nuove possibilità e nuove strade espressive.
Ciò ha inoltre delle applicazioni utili anche in campo compositivo. Per esempio nel metodo Nikolais si usa comporre facendo improvvisare i danzatori su una vera e propria griglia composta di spazio, tempo, motore e forma, da costruire secondo ciò che si intende esprimere. Per cui potrei trovarmi a improvvisare su uno spazio piccolo e direzionale, con un tempo veloce, motore vibrato e forme spigolose, restituendo delle immagini sicuramente claustrofobiche, come potrei invece improvvisare su uno spazio circolare, con un tempo medio e regolare, motore accentato e forme aperte e morbide, proponendo in questo modo delle immagini certamente più serene e pacificanti.
Nell’ambito performativo avere una preparazione in tale direzione permette di avere un vocabolario di movimento variegato e una maggiore consapevolezza di ciò che sono le nostre tendenze e quindi di decidere se cavalcarle o uscirne. Spesso si scelgono strutture all’interno delle quali far nascere l’improvvisazione, ciò dipende molto dal tipo di concezione che si ha dell’improvvisazione stessa e da che tipo di situazione si cerca di ricreare. E’ possibile dare una struttura drammaturgica all’interno della quale improvvisare, oppure stabilire solo un’ordine di apparizione e composizione dei performers, per esempio decidere che dovrà svolgersi un duo, un solo e poi un trio, oppure semplicemente concordare delle qualità di movimento e in base a quelle costruire la relazione tra i performers, come per contro è possibile non concordare niente e lasciar accadere stabilendo solo la durata del pezzo.
Ascolto
L’ascolto è davvero considerato la base di una buona pratica improvvisativa. Il danzatore deve essere capace di porsi in relazione col contesto, sia che questo sia dato da altri performers, dallo spazio, dal pubblico e dalla musica. Deve essere ricettivo ad ogni stimolo, responsivo e percettivo. Non è possibile improvvisare senza ascoltare ciò che abbiamo intorno.
Per mettersi in questa condizione è di grande aiuto eliminare il giudizio, infatti giudicarsi non aiuta a lasciarsi andare al flusso improvvisativo, ma blocca e allontana dalla concentrazione necessaria, portandola dentro di sè invece che fuori di sè.
Non è un caso che si usi questo termine che ha a che fare proprio con il senso dell’udito. Sembra interessante l’osservazione di Cohen Bull che identifica nel balletto classico una disciplina strettamente visiva, in cui l’interesse è sul perimetro del corpo del danzatore, rispetto alla Contact Improvisation che si basa invece sul contatto fisico e sui processi interni al danzatore. I sensi di riferimento in queste due forme artistiche sono quindi in un caso la vista nell’altro il tatto.
La Contact è sempre più indispensabile nella formazione di un danzatore contemporaneo proprio perché è volta a creare una sensibilità al tatto e alle sensazioni interne, il senso del sé diventa posizionato nel corpo, ma si estende anche a tutto ciò che è intorno.
Sia nella Contact che nel balletto classico l’attenzione rimane comunque sul corpo, ma da due prospettive diverse: nel balletto è oggettivato e visto dall’esterno, nella Contact si aspira a essere soggetto di esperienze interne.
What is revealed (in contact improvisation) is mutual understanding, a basic system, a mode of communication. Touch. The fast and subtle skin processing masses, vectors, emotions, giving the muscles the information to correctly move the bones, so the duet, can fall through the time and space of demostration, neither partner hurt, hampered, subjected, objectified. Steve Paxton (ibidem p275)
Nell’improvvisazione in danza tale contatto fisico può non essere presente, in questo caso è indispensabile acuire tutti i sensi e l’udito ha effettivamente una parte fondamentale.
Per ascolto si intende quindi riuscire a sviluppare quella sensibilità tale da permettere di sentire, con sentire intendo tutte le possibili accezioni del termine. Bisogna infatti riuscire a sentire dove si trova l’altro anche quando, come spesso succede, questo si trova alle proprie spalle e riuscire a mantenere una percezione della composizione che si sta creando insieme.
Accettare
Collegata alla tematica dell’ascolto vi è la questione dell’accettazione. Infatti l’ascolto è direzionato alla formulazione di scelte condivise, è quindi importante porsi in una condizione di accettazione delle proposte degli altri e non affezionarsi troppo alle proprie. Infatti nella costruzione di decisioni condivise è possibile che le proprie scelte vengano accolte come scartate. Spesso accade di aver avuto un’intuizione su come sviluppare un movimento o una composizione nello spazio e qualcun altro propone una soluzione diversa, il tempo di reazione deve essere estremamente breve per cui succede di dover essere capaci di proporre con estrema chiarezza, ma anche di abbandonare le proprie proposte altrettanto velocemente.
Infatti sviluppare questa capacità permette di inserire eventuali “incidenti di percorso” in un discorso comunque coerente.
Si dice che il danzatore deve in qualche modo mettere da parte l’ego, con ciò si intende mettere in primo piano la composizione e farsi strumento di quel che avviene. Questo implica di abbandonare le proprie manie di protagonismo. Ascoltare e accettare servono anche a capire come e quando dare spazio agli altri, nell’ottica di valorizzare la composizione totale.
Errore
Come abbiamo illustrato fino ad ora l’improvvisazione richiede uno stato mentale particolare, bisogna essere in ascolto concentrati, accoglienti, propositivi e responsivi e, come se non bastasse, non giudicarsi e mantenere una presenza scenica appropriata.
Nonostante si riesca a soddisfare tutte queste condizioni l’errore e gli incidenti di percorso saranno sempre all’ordine del giorno, per la natura stessa dell’improvvisazione. La cosa interessante è riuscire a inglobare l’errore nel flusso, in alcuni casi è infatti possibile “cavalcare l’errore” come si suol dire. Per fare un esempio semplice inciampare può aprire la strada a nuove dinamiche di caduta, ovviamente ciò non sempre è possibile e, come abbiamo detto, è importante non giudicarsi e non giudicare, poiché nell’improvvisazione, per la sua caratteristica irreversibilità, non c’è “istituto del perdono” come ci sottolinea giustamente Sparti.
Conclusioni
Si può dedurre da questa lista di termini chiave e di competenze come l’improvvisazione, oltre ad essere un ottimo training per sviluppare le capacità di decision making, team building, problem solving e mind mapping, propone un vero e proprio sistema di valori.
Come in scena, anche nella vita, siamo in flusso di eventi che non si ferma, nel quale imparare ad accettare, accogliere le decisioni condivise, cavalcare l’errore, l’assenza di giudizio, l’ascolto del nostro corpo e degli altri possono migliorare qualitativamente il nostro modo di confrontarci col mondo. Liberandoci dall’ansia, dalla paura di sbagliare e soprattutto riconquistando un rapporto con gli altri e un dialogo con loro sia verbale che non verbale ricco e stimolante.
Inoltre propone un modo molto pratico di entrare in una logica molto disciplinata ma per niente rigida, che permette di trovare la libertà all’interno dei limiti e delle regole imposte, senza sentirsi costretti ma al contrario stimolati a progredire. Gli ostacoli, gli errori diventano opportunità, i limiti diventano occasione di ascolto di se stessi in una nuova condizione, magari scoprendo qualcosa di nuovo.
Nella mia tesi “Improvvisazione in danza come spazio liminale” ho dimostrato come gli artisti abbiano cercato di proporre una soluzione e una nuova visione sul problema della scelta nella nostra società, Come Bauman e Salecl hanno entrambi dimostrato, il problema legato al prendere decisioni è un problema che riguarda la nostra epoca, di conseguenza siamo tutti coinvolti.
Thought credit: Margherita Landi
Foto credit: Giacomo Masoni

