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Zatarra il Pirata: “Il mio hip-hop da tramandare”



Questa è la storia di una bella intervista, anzi, più che altro, di una bella chiacchierata, con un grande artista. Non un “grande artista” in senso comune, non riempie stadi e non lo vedete in tv con la folla che lo acclama, ma un “grande artista” nel senso più profondo del termine, uno di quelli che mette l’anima in quello che fa, che si tratti di scrivere un pezzo o di ascoltare sua figlia. Una persona positiva, tanto che quella positività usciva dall’auricolare del mio telefono in modo quasi palpabile nonostante alcuni temi trattati fossero tutt’altro che facili. Da questa chiacchierata ho capito una cosa: non c’è distinzione fra Marco Ottavi e Zatarra il Pirata, non c’è distinzione fra il papà ed il rapper, fra la persona e l’artista. Questa, per me, è la definizione di “grande artista”.

Poi arrivo io che fra una storia e l’altra ci metto circa due mesi e mezzo a confezionare il pezzo.

Quindi passiamo all’intervista e diamo spazio a chi se lo merita.

A me il disco, Ad Libitum, è piaciuto tantissimo, si sente che ti sei sfogato

Più che sfogato, diciamo raccontato. I toni, rispetto al passato, sono meno accesi e infuocati, hanno lasciato spazio a una maturità e a una riflessione serena, con il sorriso che fa da sfondo a tutto il disco.

Hai scelto di farlo uscire in questo momento per qualche motivo particolare?

Fondamentalmente, quando uno fa rap, come sai, almeno come capita a me da quando sono partito, scrivo sempre o quasi, perché la necessità di mettere su carta emozioni, pareri o anche semplicemente giochi di rime è irresistibile. E siccome l’ultimo prodotto alla fine è uscito nel maggio 2012, tre anni e mezzo fa, la voglia di “ritornare”, coincidente con un periodo “particolare” della mia vita, è stata fondamentale. Rispetto al passato, per una metà, il disco è la chiusura di un cerchio, un ritorno, un omaggio al rap vecchia scuola che avevo conosciuto e che mi aveva fatto innamorare della cultura hip hop, mentre l’altra metà è una presa bene contemporanea, un’introspezione riflessiva che ha sempre il mare come sottofondo, una fotografia mia del momento, quindi forse meno arrabbiato contro quello e quell’altro ma più maturo, tra virgolette, in altri sensi.

01 Zatarra WEB (foto di Velvet Photographer)

Ho notato che come collaborazioni ti sei circondato da tanti personaggi, tutti positivi, non c’è il rapper stereotipato, ma troviamo gente del calibro di Esa e Amir.

Esatto, i featuring alla fine io li vedo e vivo come sempre, fino dai tempi marsigliesi, come momenti di condivisione. Esempio: c’è gente che conosci da una vita e/o non vedi da una vita, che magari risenti e ritrovi all’improvviso e dici: “Oh che si fa, si fa un pezzo?”. Si passa una giornata insieme, ci metti insieme altre cose, un pranzo, una cena, e via così. La cosa che al momento ho capito, anche grazie al tempo che passa, è che è bene tenerti intorno e restare con persone positive, come Esa, come Amir, come Djel, come Boss One, Orel ecc. i conoscenti restano, ma a livello latente.

Chiaro. Come incontri l’hip-hop?

La città di Siena, in cui sono cresciuto, è sempre stata di matrice rock, quindi la volontà innata di non esser parte della massa mi ha fatto “staccare” da questo genere musicale, sebbene, anche indirettamente, ne sia stato contaminato in passato (e non rinnego i tanti progetti crossover, anzi). Per assurdo, se vuoi, l’episodio che mi ha avvicinato all’hip hop è stata una tag, che poi era più una sottospecie di tag, in un vialino vicino casa… mi ricordo che ero piccolino e mi dissi: “ma che diavolo è questa cosa qui? Ma come funziona?”. Da qui è iniziato tutto: cominciò la ricerca estrema di cassette o cd, le prime soprattutto americane, tipo Beastie Boys, De la Soul, Gang Starr o Public Enemy (e successivamente gli immancabili Tupac e Biggie). Ma il fulcro dell’innamoramento arrivò con l’ascolto, nella seconda metà anni Novanta, dei vari Otierre con Quel sapore particolare, per dirne uno, 107 elementi di Neffa, o ancora Neffa & i messaggeri della dopa, per quanto riguarda l’italiano. Poi cominciò la curiosità di approfondire il rap d’oltralpe…

Quella per i Public Enemy è una passione che condivido, sarà poi che l’età è la stessa, anche io agli inizi l’impatto l’ho avuto con loro, grazie anche al fatto che li spingevano molto alcune radio oltre a Videomusic…

…eh bravo, anche Nas, per dirtene un altro, penso a Illmatic. Poi è chiaro che, più passava il tempo e più riuscivi magari a capire il bello di cercare: quello che ti arrivava dai media era bello ma ti stimolava a chiederti “ma allora che c’è sotto? Che c’è nell’underground?”. E allora cercavi. Però non sono mai stato uno, per dirti, con la mania di conoscerli tutti, poi va beh, nomi come A Tribe Called Quest, per esempio, non potevano mancare, però, davvero, non sono mai stato uno che andava a ricercare proprio il disco nel sottobanco del sottobanco di Brooklyn o del Queens ecc. ecc. Come ti dicevo, tra l’altro, presto mi sono innamorato del lato francese, quindi di conseguenza di gruppi come I.A.M. e Fonky Family, per fare due nomi emblematici… tutto coronato, poi, con l’amicizia che si è creata con alcuni di questi. Sono quelle cose che succedono, ovviamente, dopo un po’ di tempo: è successo con Esa e proprio con Djel, il DJ della Fonky Family appunto, tuttora riconosciuto come tale anche se si sono sciolti. Insomma persone di cui prima ascoltavo i CD e che, successivamente, ho avuto la possibilità di conoscere.

A proposito di rap francese, o meglio, di rap in francese, è spettacolare la facilità con cui in molti brani passi dall’italiano al francese. Mi ricorda molto l’abilità di Clementino nel passare dall’italiano al dialetto, e vorrei capire meglio come nasce il collegamento Zatarra–Francia.

Considera che io sono nato a Pisa e sono sempre stato a Siena, mio padre viene da una zona di provincia dell’alto Lazio, meno di 100 km da Siena, le mie origini sono qui. La prima “vera” volta che andai su a Marsiglia credo fosse il 2007 forse, e fu “coup de foudre”, colpo di fulmine, come si dice. Io, poi, sono sempre stato un appassionato di Jean Claude Izzo, lo scrittore (che ritrovi tra l’altro nella intro di “Tranquille”: quello che parla è lui) che spiega e dice che a Marsiglia c’è un rispetto dell’altro reciproco, dice che non importa da dove vieni, di che nazionalità sei. Lui, scriveva romanzi noir in una maniera sublime. Quindi, ti dico, un po’ mi ci sono innamorato per quello e un po’ per la musica, perché diciamo che qui, fortunatamente, riuscivo a reperire qualcosa degli I.A.M. in cd, quindi la passione m’era già partita. Tra l’altro la lingua francese secondo me per il rap è perfetta: l’hai sentito, no, le parole sono molto più tronche e sei sempre in rima, visto che foneticamente è tutto spostato sull’ultima sillaba. Difatti anche nell’italiano, come hai sentito, sono un po’ particolare, spesso sposto gli accenti ma mi viene naturale quando lo faccio: dieci anni fa non lo facevo, è chiaro, ma con l’esperienza ora mi viene naturale.

È l’evoluzione..

Eh certo, ovvio: è il sangue che piano piano si è felicemente contaminato. E non dimentichiamoci l’OM, unica vera religione ufficiale marsigliese.

07 Zatarra WEB (foto di Velvet Photographer)

Infatti la passione ho visto si è spostata verso il basket, se non sbaglio…

Storicamente il mio sport preferito è stato il basket, e la Mens Sana Basket, prima di tutto. Poi grazie alla Francia mi sono molto appassionato anche al rugby, ho amici anche del CUS Rugby di Siena che hanno giocato diverse volte col Garfagnana Rugby dalle parti tue (ride).

Tornando all’hip hop, quanto incide nella vita normale di Zatarra? Anche nell’educazione di un figlio, quanto conta?

Guarda, hai fatto una grande domanda… Per come la vedo io, anche per l’educazione di un figlio l’hip hop è fondamentale, nel senso che può incidere. Certi princìpi, come il rispetto, la collaborazione, l’aiuto, la solidarietà, sono fondamentali nell’hip hop… per capirci, ti faccio un esempio stupido: se hai seguito la mia pagina Facebook, saprai che mezza giornata la occupo facendo il tagesvater; ecco, anche se il rispetto reciproco è un qualcosa che si dà per scontato e non è che devo insegnarlo io ai bimbi, di certo se non glielo fai vedere, non possono capirlo e assimilarlo. Per come la penso, non è che insegno ma semplicemente faccio qualcosa perché il bambino apprenda: i bimbi sono spugne, e questo va tenuto presente, è fondamentale. Il rispetto, la collaborazione, la ricerca continua di socialità, penso proprio che si debbano ritrovare nell’educazione di un bimbo. Altri due piccoli esempi banali di quando sto con mia figlia: “Oh guarda Agata, c’è Matilde. Dille ciao!” oppure “Matilde ha uno zainetto che ti piace, chiedile se lo puoi prendere, poi magari le dai il tuo, così fate uno scambio”… ecco, questo alla fine è alla base di quello che si fa nell’hip hop: io do una strumentale a te, te mi fai un featuring, in pratica è la stessa cosa. Per me queste sono dinamiche quotidiane, valori che applico in situazioni diverse. Poi, certo, c’è anche l’ascolto della musica, ma è un altro discorso…

Sicuramente, ti dico, la mia bimba è una fan di DJ Lugi…

Grande! (ride)

Relativamente a tutte le cose che ci racconti nell’album, anche sul discorso malattia, ti va di parlarne?

Sì, ne parlo appunto anche nell’album. E grazie a Invictus lo esplicito nel testo.

Mi ha lasciato un attimo di stucco capire dal disco che c’era qualcosa che non andava.. sperando ovviamente che sia un qualcosa di passato.

Questa cosa non è passata ma, fortunatamente, è sotto controllo. Comunque sia non è questo l’importante. “Invictus” è nata per dare speranza, supporto, per condividere certi momenti. Perché in certi momenti ti senti solo. Spero, alla fine, che il pezzo dia forza a qualcuno, perché a me c’è chi me l’ha data, e sono stato fortunato. In primis, in questo senso, devo dire grazie prima di tutti a mia figlia Agata, cosa incredibile per una bambina di cinque mesi. Ma tanto i bambini fanno questo e altro. Certo chi non ha nessuno, e ce ne sono molti, rischia di andare a finire… anzi, di finire proprio, e prima del tempo.

Tornando al disco, come possiamo acquistarlo?

L’album è disponibile in digitale tramite la distribuzione francese Musicast, è quindi presente su tutti i canali digitali, è inutile che li elenchi, e c’è anche la copia fisica per gli aficionados, in giro per i live oppure sul sito www.zatarra.eu, dove trovate il modulo d’ordine, ve lo fate spedire a casa e buonanotte. E quest’anno, grossa novità, ci saranno anche un paio di magliette, una con la cover bellissima che ha realizzato Esa e una con una frase tratta da un pezzo: “l’uomo forte soffre senza lagnarsi, l’uomo debole si lagna senza soffrire”. E poi ci sono anche un paio di cappellini, quindi qualcosa in più rispetto al solito. Si può trovare tutto da Solo Stile, cliccando su http://solostile.bigcartel.com/artist/zatarra. Ho deciso di farli perché poi, vedrai, la maggior parte di questi ultimi andranno ai bambini che mi conoscono come tagesvater.

A proposito di bambini, mi spieghi il fatto del tagesvater?

Ho trovato questo corso. Già ne avevo sentito parlare in Francia di questa figura professionale e, appunto, ho scoperto questi nuovi corsi che in Italia stanno cominciando ora (c’è in Veneto e c’è in Trentino, per ora) così ho deciso di provare. Ho fatto il corso, unico uomo su una sessantina di partecipanti, e siamo stati scelti io e quindici ragazze. Posso tenere fino a cinque bimbi in casa, nell’arco di età da 0 a 13 anni, quindi figuriamoci, e la cosa buona è che puoi tenere tua figlia, quindi è positivo. I bambini, invece, ti danno affetto e amore senza limiti e non hanno certe malizie, certe remore, certi vincoli, poi più di tutto impari da loro! Non insegni, ma impari, e tanto! Impari soprattutto a toglierti certe barriere che invece ti hanno creato nel tempo con l’esperienza.

Concordo pienamente, anche perché le malizie che puoi vedere in un bimbo sono tutte trasmesse da noi adulti. Mi ricordo la frase che ci disse un’infermiera quando la mia bimba era appena nata: “Il ciuccio è bello e utile, ma il neonato non lo conosce e non piange per avere quello. Siete voi genitori che glielo fate conoscere, e solo dopo che l’ha conosciuto può piangere per averlo”. È elementare, ma racchiude tutta l’evoluzione di un bimbo.

Esatto. Hai fatto un esempio sintomatico. È un mondo infinito e ti dico che, avendo studiato un niente, perché comunque è un niente, di teorie pedagogiche e di sviluppo anche psicomotorio, scopri un mondo e ti rendi conto di quanto la gente non stia attenta ai propri figli, perché comunque c’è da lavorare, perché lavorare ti porta soldi e senza soldi non si mantiene la famiglia: però il figlio a chi lo lasci? Lo sai in mano di chi lo lasci? Lo sai cosa gli fa fare, come lo cresce? Ti ripeto, nella fascia 0-3, la gente pensa che tanto non se ne ricorderanno di questo periodo, quindi si può fare quello che si vuole, ma non è assolutamente vero. Non voglio condannare nessuno, ma alle volte c’è troppa faciloneria nel mollare i figli anche ai nonni per assurdo, che sono preziosissimi e fantastici, però il figlio è tuo, non è del nonno, ed è bene che questo lo capisca sia il figlio sia il nonno.

L’ho notato anche io, ti faccio un esempio: io e mia moglie accompagniamo nostra figlia a scuola insieme tutte le mattine, possiamo farlo perché lavoriamo insieme e facciamo orario d’ufficio, ma lo facciamo soprattutto perché ci piace. Vedo però molti genitori che scaricano i figli a scuola come fossero pacchi e vivono forse molto più sereni di noi.

Bravi. Non è un discorso di viziare i figli facendo queste cose, è solo un discorso di avere il piacere di condividere le cose con i propri figli. Viziare un bambino, addirittura, si può fare anche senza starci mai insieme, per assurdo: non ci sei mai insieme, quando te lo riportano a casa ti senti in colpa e gli fai fare quello che vuole. E lo vizi.

Vero. Si torna quindi al discorso della filosofia Hip-Hop, come dicevamo prima. 

E quello è fondamentale! L’importante è trasmetterla ai figli. Ci sono delle generazioni che io considero bruciate, ho avuto esperienze con bimbi delle elementari ed è lì che bisogna intervenire, perché già alle medie mi sto rendendo conto che son già bruciati purtroppo. Bisogna incominciare più piccoli.

In pratica prima che abbiano uno smartphone…

Ma davvero, guarda…

L’intervista si chiude qui, con noi che parliamo delle relative figlie come se fossimo vecchi amici. Se non l’avete ancora fatto, godetevi Ad Libitum, musica, anima e cuore di un grande artista.