P2P e i nuovi rituali sui social
Come antropologa facendo ricerca per il progetto P2P – da Persone a Profili “Nuove forme di mancanza nell’era social” non posso far a meno di riflettere su ciò che sta accadendo alla nostra generazione.
Mia nonna, se stavo troppo al telefono, mi diceva “basta con queste diavolerie, vai a parlare di persona con i tuoi amichetti, invece di consumarti le orecchie al telefono”… di fronte ai social mi sento mia nonna, non è che li capisca molto e preferisco i contatti diretti.
Però non posso fare a meno di farmi anche una piccola autocritica e chiedermi: ma le nuove generazioni sbagliano davvero? O forse sono io antiquata? Dopotutto per quanto li critichi uso i social anch’io.
In realtà non mi so rispondere, ma credo che stia avvenendo un passaggio culturale epocale, di grandi proporzioni. Oltre un certo limite non ha molto senso chiedersi chi sbaglia, ma prendere atto di cosa sta accadendo e responsabilizzarsi di fronte ai nuovi strumenti offerti dalle tecnologie.
Il passaggio che sta avvenendo era già in gestazione da secoli, appena ne abbiamo avuto l’opportunità noi ci siamo buttati. Ma è frutto di un lungo processo di distacco dal corpo che coviamo da tanto tanto tempo, almeno in occidente.
Prendiamo appunto il tema di P2P:l’elaborazione del lutto nell’epoca digitale.
Un tempo la relazione con la morte era diretta, fisica e cruda. I corpi venivano lavati, vestiti e pianti dalla famiglia, che aveva la possibilità di toccare e prendere atto dell’assenza di vita nel corpo del loro caro.
Era una conoscenza della morte che passava non solo dell’esperienza traumatica della perdita ma dalla dall’esperienza tattile della morte.
Ora mi rendo conto che come danzatrice per me il rapporto col corpo è privilegiato, ma se ci pensate lo è per tutti, non c’è niente di più chiaro e definitivo del sentire la realtà fisica delle cose.
Come ci è stata data l’occasione abbiamo voluto edulcorare un evento così scioccante. Altre persone, per mestiere, si occupano dei corpi dei cari estinti, i rituali funebri si sono accorciati, non ci lasciamo più il tempo di soffrire e soprattutto di soffrire in comunità. E’ l’assenza con cui conviviamo a rendere reale la perdita.
Quando mia nonna è morta mi è stato consigliato dai miei genitori di non vedere il suo corpo per non traumatizzarmi. Io a 32 anni non ho mai visto un cadavere.
Probabilmente mi hanno risparmiato un trauma, ma per anni ho combattuto con l’istinto di chiamarla al telefono per poi realizzare un attimo dopo che non potevo, nonostante abbia visto la bara e sia stata al funerale.
Per la nostra generazione andare al cimitero non ha più il valore che poteva avere per le generazioni passate. Non è più il luogo dove andiamo a salutare i nostri cari.
Quindi dove andiamo a farlo? Cosa ci aiuta a prendere atto della morte?
Credo che se mia nonna avesse avuto un profilo social, probabilmente andrei a vedere i suoi ultimi post da viva, le sue foto sorridente e ogni tanto le scriverei un messaggio privato per salutarla, consapevole che non lo leggerà mai, ma dopotutto neanche dei fiori sulla sua tomba li vedrebbe. Questo, mio malgrado, mi darebbe conforto.
Thought credit: Margherita Landi