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MUSIC

Mantra, geometria sacra e una ricerca nella sperimentazione soul funk da capogiro

Tormento Sempre Più Musicale del Rapper Classico

Scritto il 14/04/15 da Redazione

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Tormento, come la pellicola calibro ’74 di Pedro Olea ma coi graffi dell’hip-hop soul. Questa settimana Street Opera va muso a muso con Massimiliano Cellamaro (Tormento/Yoshi Torenaga/Antonio Mantelli/Tormento aka Yoshi), di Reggio Calabria. Rapper, poeta del beat. Una radice con Esa, l’altra con Marya: l’albero dell’amore, della famiglia e della fratellanza. La forza che muove gli scheletri e scorre senza paura. Segnatevi questa data: 2 giugno. Giorno di rilascio del nuovo album. “Taurus ha prodotto e creduto in questo mio nuovo progetto e Shablo si è rivelato essere uno dei più dotati producer che conosca. Il mood che ho trovato alla Taurus l’ho sentito subito mio, musica di gusto e nei contenuti la ricerca di importanti riflessioni. Ho ritrovato una nuova libertà, oggi che la musica non appartiene a nessun genere, dopo aver lavorato con i nuovi rappers italiani così come i musicisti più impegnati, mi piace passare dal rap da club al blues più all’avanguardia”.

Per mano di un confronto tra rapper stranieri e artisti italiani, vince sempre la “verità” del rapper italiano. Siamo tentati di fidarci più del musicista italiano, di credergli e di accettare ciò che mette in rima. Forse perché meno “corrotto” dall’industria e dagli indici di gradimento. Ti sei mai interrogato sul concetto di “verità” nei testi e nel vissuto?

Sì, assolutamente. Come te ascolto tanto hip-hop americano. Ora un po’ meno perché la maggior parte degli artisti si è alleggerito nei testi o li ha gonfiati ed esagerati. Io sono cresciuto con la West Coast dei N.W.A. e di Snoop Dogg. Contenuti pesanti, ma all’interno ci trovavo sempre una riflessione sociale. E dietro parole scurrili o immagini forti si tentava di esprimere un disagio. Trovo molta più verità nel rap del passato, quindi quello meno standardizzato. Oggi ci sono artisti che fanno rap con contenuto. Però la lingua italiana ti obbliga a ricercare un po’ più di sostanza nel testo, per la storia letteraria italiana ed europea che ci portiamo appresso. Poeti e scrittori del passato per me sono una grande ispirazione e mi sento in dovere di rispettare la loro eredità culturale. Dalla forma alle metriche passando per le intonazioni. Io tendo sempre ad essere un po’ più musicale del rapper classico.

Come nasce El Micro de Oro by Primo & Tormento?

Nasce da due teste come la mia e quella di Primo. Tra gli MCs italiani siamo tra i pochi ad aver sempre voluto fare vere e proprie canzoni, lui con i Cor Veleno che da solista. E così io, coi Sottotono e da solista. La volontà era quella di metterci il cuore e un po’ di risentimento per il trattamento degli artisti odierni. Per riportare le orecchie della gente, ormai formattate su un nuovo tipo di sound, ad un altro stadio, forse per riportarla indietro: miscelando il vecchio, l’old-school e l’attuale. Con tutto il carico della nostra storia: abbiamo lavorato con le major ma anche con etichette indie, stampandoci noi da soli i dischi. Lo stesso vale per i live. Le regole del gioco discografico lo rendono oggi più un lavoro fatto a tavolino. Noi invece abbiamo sognato e realizzato un progetto col cuore.

Sembra quasi di stare in una navicella. Sarà per via di quella “radio da doccia a forma di microfono” di cui racconta Primo…

E’ proprio un viaggio al di fuori del tempo e dello spazio.

Il rapporto tra te e Primo arriva da lontano, lo nominavi già in un disco con i Sottotono.

Già nel ’96 avevo visto live i Cor Veleno. Poi ho notato che gli step vissuti erano simili. Eravamo come fratelli.

A che punto siamo oggi, musicalmente?

In realtà dopo la pubblicazione di El Micro de Oro, mi sono sentito parecchio sconsolato. Come se producessimo musica solo per noi stessi. Aver iniziato una collaborazione con Shablo per il brano La strada per la felicità, mi ha permesso di svuotare la testa di dubbi e paure.

Ho capito che la musica è quello che mi riesce meglio. Il mio percorso. Ora sono proprio alla fine di una strada, lunga sei mesi, in cui io e Shablo abbiamo registrato un album capace di contenere tutto il nostro spirito. E’ un viaggio tra il dentro e il fuori. Un dialogo tra il mondo interiore e la cruda realtà esterna. Produrre buona musica oggigiorno è il solo modo di reagire. Tutto questo lo ha reso possibile anche la Taurus Records con cui si può parlare tranquillamente di mantra e di geometria sacra. La musica del nuovo disco mischia anche le nostre specializzazioni, musica classica da una parte e world music dall’altra. Dalle campane tibetane ai tamburi africani. Scoprire che in circolazione c’è ancora questo grande amore per la musica mi ha dato energia nuova. Questo lavoro tocca la natura, il ritrovare se stessi.

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Foto di Filippo Leonardi

Che rapporto hai tu con la spietatezza?

Il mio rapporto con la violenza è cambiato quando ho iniziato ad avere molto successo con i Sottotono, cantando di fronte a migliaia di persone: allora ho mutato il modo di vedere e di raccontare il rapporto con le donne e l’alcol, ad esempio. Il vivere alla giornata, con semplicità e sfrontatezza, non mi rispecchiava più. Poi sono arrivato a Los Angeles e quando ho avuto a che fare con il gangsta rap ho cambiato idea. Nei testi oggi cerco di essere positivo. Uso la violenza solo per progredire: è rabbia per fare uno scatto in avanti. Non bisogna svendersi alle bassezze, come insegnano i jazzisti.

Sei nato a Reggio.

Sì, sono cresciuto là fino a 10 anni, poi 6-7 anni a Varese, e da allora mi sono spostato in giro per l’Italia, da Genova a Bari e così via. Il Sud mi ha dato il cuore che ci vuole nella vita, le percussioni, le ritmiche. Mio padre è pugliese ed è un batterista jazz. Giù mi giudicano un rappresentante del Sud, nonostante poi io sia cresciuto al Nord. Il Sud del mondo è uguale dappertutto. I calabresi sono simili ai messicani che a loro volta sono simili agli africani. Hanno tutti la voglia di aiutarsi, nonostante la malavita. Forse ho un modo utopistico, dolce di rappresentare il Sud. Però, come insegna la geometria sacra, ogni cellula ha la stessa nascita e crescita di una galassia, e noi siamo fatti della stessa polvere di cui sono fatte le stelle. E’ necessario aprirsi a nuovi livelli. All’altro.

A proposito di “galassie”, tu sei stato capace di unirne diverse: Salmo, Coez, Mezzosangue, Santiago, Grandi Numeri, Esa & Polare…

Ogni artista ha il suo mondo. Mi sento aderente e in linea soprattutto con Al Castellana, lo stesso Shablo, Fabio Meligo, Pat Cosmo. Mi sento a casa dove c’è una ricerca moderna del soul funk, come i Bluebeaters appunto.

Non ti senti distante dunque da un progetto come No Escape con Lefty.

No, anche il modo in cui lavora Lefty mi rappresenta. No Escape è un concept album che parla proprio dell’affrontare la vita, dell’evolversi e reagire. Il disco è stato affidato a BM Records e tra i collaboratori ci sono Esa, Bunna degli Africa Unite, Reka the Saint da New York, Frank Siciliano, Lorence Michaels da Los Angeles, Al Castellana e Primo Brown. Mi ci ritrovo ancora molto a quel progetto: io e Lefty siamo due liricisti.

Sembri quasi uno scienziato del beat: lo vivisezioni, lo scomponi.

Mio padre, mio zio sono batteristi jazz. Sono cresciuto ascoltando Dave Brusbeck, James Brown, Miles Davis. Io e mio fratello Esa eravamo sopraffatti dal modo in cui scandivano il tempo e gli strumenti. Quando ho a che fare con un musicista io cerco di scoprire la sua anima. Come parla la sua anima. Ho suonato con i musicisti di Prince, Michael Jackson, Shirley Johnson e Whitney Houston e mi hanno raccontato come si muovevano sul tempo. Mi affascina anche il modo in cui J Dilla muove i beat avanti e indietro, scomponendo i campioni. Mi interessa capire l’attitudine dei musicisti. Ora penso di aver trovato una radice nel mio percorso e studio gli altri, i loro tragitti da hit-makers ad artisti underground. Studio. Registro tutto. E compongo. Non smetto mai di ricercare per sentirmi vivo e sopravvivere al tempo.

Credits Top Photo: Filippo Leonardi

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