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MUSIC

Esce “Rock Steady” il nuovo disco di Ensi. Una vita in cui la musica ha camminato con lui.

Ensi Senza Paura è One Of The Best Yet

Scritto il 9/09/14 da Anya Baglioni

La prima volta che ascoltai Ensi, fu perché mi consigliarono “Era Tutto Un Sogno”. Nella mia brama di conoscenza, mi ci soffermai poco, a parte qualche pezzo che mi colpì particolarmente: “Come Il Sole”. La fama che lo precedeva consisteva nel fatto di essere il campione del freestyle, mentre in qualche modo la discografia passava in secondo piano. È stato “Rock Steady” che mi ha fatto incuriosire. Ho voluto approfondire il presente e il passato. L’ho studiato e ho trovato dei punti fondamentali che fanno di Ensi non un freestyler, ma un MC. L’album appena uscito è la condensazione degli aspetti più personali di Ensi, che si riscontrano perfettamente all’ascolto della prima nota vocale: non ha una tonalità particolarmente profonda, anzi la trovo limpida, che potrebbe essere avvolgente, se volesse. Ma non vuole. La usa in modo originale, la fa stridere, riesce a renderla ruvida, pur mantenendo una sorta di purezza tonale. Questo disco è questo. Ha la purezza dell’essere e la fortezza della Golden Age. L’immagine di uno scontro. Il racconto di una vita che si alterna tra campanelle che indicano intervalli e riprese delle lotte, ganci assestati sotto l’addome, menti alti e vittorie. La paura che cerca di corromperti. Il coraggio che trovi nei momenti in cui sfidi l’avversario, in cui ti ricordi che sei “One of the best yet”.

cover ensi - rock steady

«Rispetto ai dischi precedenti trovo che quest’album sia più intimo e personale, che ci si trovi molto di te. È una sorta di descrizione di te stesso quasi narrativa che ripercorre un percorso dal basso. Concordi? Mi puoi spiegare un po’?»

«Sì, concordo. Era difficile per me riuscire a fare un album come “Era Tutto Un Sogno”. Nella maggior parte dei miei lavori discografici ho affrontato tantissime tematiche. Ho cercato non solo di parlare di me, ma anche di affrontare altri argomenti: da cose più personali a cose più sociali. Arrivando da due anni veramente intensi, dopo un disco come “Era Tutto Un Sogno” e centinaia di featuring che ho fatto in giro, il lavoro di ricerca d’identità di “Rock Steady” è stato molto pesante. In questo disco ho cercato di non risparmiarmi da questo punto di vista. In questo momento storico per questo genere musicale, con l’attenzione che ne consegue e tutto, non potevo fare un album diverso da “Rock Steady”. Ho dimostrato di saper fare tutto, di adattarmi a qualsiasi suono, a qualsiasi argomento negli anni, però oggi comincia ad essere proprio un processo di creatività, che comunque deve portarmi ad una maturità artistica. Quindi non potrei nascondere dei lati di me, non raccontare le cose come stanno e come le vivo e vedo io, anche quando queste poi nello specifico sono abbastanza intime e personali. Comunque mi ci rivedo in questa cosa del disco un po’ più intimo, un po’ più maturo; difatti raccolgo anche feedback sia dall’ambiente stretto sia anche da un pubblico un po’ più adulto.»

«Con quale criterio è stata programmata la cronologia delle tracce? Si ricollega alle tematiche dei pezzi?»

«Non molto. È più una questione di identità musicale. Siccome il disco comunque musicalmente ha un equilibrio tra robe più etiche e intime e quei quattro/cinque pezzi hardcore, non volevo piazzarli tutti da una parte del disco, altrimenti avrebbe creato un’incongruenza a livello di produzione. Quindi partiamo in pompa magna con un pezzo bello aggressivo, poi ce ne sono due un po’ più aperti anche come argomento, come sonorità e un po’ più introspettivi (a parte “Change”, che è un po’ più danzereccio, un po’ più veloce); poi c’è “Rocky e Adriana” che è una traccia molto forte anche a livello di produzione e poi il momento più hardcore del disco che comprende: “L’Alternativa”, “Rock Steady”, “Juggernaut” e “Stratocaster”; dopodiché si conclude con una fase molto molto più personale, che è composta da: “V.I.P.”, “Se Non Con Te” e “Non è Un Addio”. Quindi in realtà oltre ad un criterio musicale, ha anche un criterio di tematica, anche se non era partito con questa idea. Comunque il disco ha una forte identità. In un sacco di dischi puoi invertire le basi con le strofe e non sentiresti la differenza: questo è un disco in cui ogni brano ha un’identità e la musica rispecchia il testo. Non potevo escludere una cosa dall’altra. Però è più una questione musicale.»

«Il nuovo album ha un cambio di stile rispetto ai primi ep/album (forse iniziato un po’ con “Era Tutto Un Sogno”. Mi puoi spiegare perché ad esempio hai inserito il cantato?»

«Mi sono innamorato di questa cultura, perché riusciva a darmi uno spunto in ogni momento della mia vita. Quindi anche il cantato fa parte di questa musica. Penso che le due cose possano stare vicine e sopratutto avevo l’esigenza di fare un disco molto personale, in cui venisse molto più fuori Ensi. Infatti i featuring rap sono veramente pochi, a parte Noyz Narcos e Salmo, ci sono solo io che rappo, il resto mi sono fatto affiancare da cantanti o musicisti. Questo è anche un po’ frutto della mia maturità; alle spalle ho tanti anni di percorso e di gavetta, come dicevo in “Numero Uno”: “Ho fatto il Vietnam”. Dalle gare di freestyle alle cose più underground: ho suonato sul retro di un camion, in un pub vuoto… va fatto di tutto. Secondo me “Rock Steady” è veramente l’evoluzione coerente della mia musica. Penso che la coerenza di un artista si possa misurare anche nella capacità di adattarsi senza cambiare completamente direzione: solo chi muore non cambia. Le voci che ho chiamato sono tutte del mondo urbano: si basti pensare a Patrick Benifei dei Casino Royale, una delle band più importanti di sempre; pensa a Julia Lenti, che è una grandissima cantante che proviene dal mondo del reggae e della dancehall, del soul e Andrea D’Alessio è un ragazzo molto talentuoso che fa anche beatbox; Y’akoto è un featuring internazionale, ha una voce piena di pathos che ricalca un po’ i bei tempi andati delle grandissime cantanti del soul. Quindi bene o male penso che chi ama questo genere musicale e lo conosce, non si sente tanto lontano come idea da quella che è la totalità di “Rock Steady” o almeno spero.»

«Quali sono stati i crismi di scelta per i feat?»

«Io ho lavorato con tutti, ma proprio per questo quando mi sono affacciato a “Rock Steady”, mi sembrava importante venirne fuori più io e soprattutto far venire fuori questa evoluzione coerente di quello che è il mio percorso. Quindi i featuring sono stati scelti in base ad una questione di stima e di rispetto artistico e umano. Con Noyz avevamo condiviso un intero tour e non avevamo ancora fatto un brano assieme, quindi era doveroso; e poi ho aggiunto Salmo che è sempre un grande amico: abbiamo lavorato un sacco insieme, anche quando eravamo entrambi in Tanta Roba abbiamo condiviso bei momenti. Mi piaceva l’idea di unire noi tre, che siamo le tre facce concrete della stessa cosa, ognuno con il proprio stile; rappresentiamo bene secondo me questo movimento. Anche le scelte artistiche che ho fatto nell’affiancarmi a cantanti, comunque sono state tutte ben pensate. Magari in un momento di visibilità totale, lavorando anche con una grossa multinazionale come la Warner, c’era la possibilità anche di aver a che fare con nomi del pop per tentare di arrivare magari un po’ più in là, ma io non ho mai preso scorciatoie. Ho preferito farmi affiancare da persone che hanno un percorso, anche se sono meno famose di altre. Anche questa è stata una scelta di criterio e di gusto, ma anche di coerenza.»

«“Rispetto di Tutti, Paura di Nessuno” è il pezzo di apertura un po’ più roots, che riprende il sapore Hip Hop delle origine e del quale è uscito il video qualche giorno fa. Mi puoi spiegare la funzione di questo pezzo rispetto agli altri?»

«È un brano molto concreto, sia a livello di produzione sia a livello di rime. “Rispetto di Tutti, Paura di Nessuno” è un bel concetto, aldilà che io l’abbia espresso nel mio ambiente. Questo perché, anche la citazione di Guru è importante nello scratch di Double S “One of the best yet”, che è diverso dal dire “I’m the best”: essere uno dei migliori. Questo per me è importante. Io sono dieci anni che sono sul pezzo. L’ho dimostrato dalle gare di freestyle ai dischi e quindi è un po’ per glorificare il mio percorso. È figo mantenere questo tipo di attitudine, che comunque fa parte del gioco: rispetto degli altri, ma non averne paura. La funzione è proprio quella, aprire il disco in una maniera super Hip Hop, bella cruda, per far capire subito che non ci si sta sbagliando: questo è il mio mondo. All’interno però trovi anche del resto, perché comunque a ventott’anni non potrei continuare a fare pezzi di punchline, dove faccio vedere di saper mettere cento rime in una barra: sarebbe inutile, in un momento in cui bisogna parlare in maniera più matura alle persone. È un po’ l’emblema di questo.»

«“Change” è il primo singolo uscito. Per quale motivo hai scelto questo pezzo?»

«C’è una scelta pensata sul fatto di farlo uscire come primo pezzo. Non mi piace adattarmi, crogiolarmi nei risultati. Io so benissimo quali sono i tipi di pezzi che possono piacere ai miei fan accaniti, motivo per il quale non devo sempre accontentarli. Siccome ci sono più sfaccettature del mio rap, è giusto che queste vengano messe al servizio. Io sono molto orgoglioso di tutti i pezzi che ho fatto; se non fossi stato contento di qualcosa, non l’avrei messo nel disco. Anche se questo può far storcere il naso, perché magari tra “Change” e “Rispetto di Tutti, Paura di Nessuno” c’è un abisso anche a livello musicale, sembrano proprio due cose differenti; sono due facce della stessa medaglia del mio personaggio: io sono così, sono sia harcore e straight, sia poetico e trasversale.»

«Ho notato che ci sono moltissimi riferimenti filmografici un po’ in tutto l’album. C’è una motivazione per la quale in questo pezzo se ne trovano di più?

«Io ho sempre fatto un sacco di citazioni, perché comunque sono uno sbrana-film. Sono uno che legge poco e guarda più i film, quindi spesso mi faccio influenzare da quello che vedo. Poi il parallelo ad esempio tra “Inception” che è un viaggione pazzesco e la costruzione dei sogni, era figo. Stessa cosa in “Matrix”: la questione di sapere più o meno la verità, la pillola rossa, la pillola azzurra. Quindi sono cose che riesco spesso a collegare e che mi viene direttamente il flash. Mi sono accorto all’interno del disco di averne messe parecchie, ma ti assicuro che in alcune versioni (alcuni brani del disco li ho scritti davvero un sacco di volte) ce n’erano veramente troppe di più e quindi risultava davvero di essere un disco di citazioni filmografiche. In realtà non è così e ho cercato di fare in modo di far quadrare le cose. Sono un amante del cinema, quindi è una delle mie fonti d’ispirazione principali insieme alla musica e al quotidiano (inteso come vissuto).»

«“Eroi” trovo sia il pezzo che si discosta un po’ di più dallo stile di tutto il disco, sia per il modo in cui rappi, sia per l’ambientazione musicale che la base riesce a dare. Si può dire che è quasi uno stream of consiousness?»

«Sì, lo è. Io faccio il rap come un’unione di cose. La gente sa che so fare freestyle, che nelle battle ho vinto, che so spaccare sul palco quando c’è da fare i live, usare punchline, ecc. Ma io sono anche altro. Chi segue la mia discografia lo sa: dal primo album, dalla roba con i OneMic che sono fatto così. Quindi fa parte della mia cifra stilistica, mettiamola così. Poi può essere condivisibile o meno. Io so che molti avrebbero preferito un disco tutto come “Rispetto di Tutti, Paura di Nessuno”, però devo essere io contento di quello che faccio.»

«Ho notato che in questo disco ci sono delle parole ricorrenti e quindi anche dei concetti in diversi contesti. Ad esempio: “Paura non ne ho / Questi pugni non fanno male come stare senza te” e “Rispetto di tutti, paura di nessuno”. È un concetto che hai voluto rimarcare spesso di proposito?»

«Ovviamente nel pezzo “Rocky e Adriana” ci sono le citazioni e i parallelismi con il pugilato che si sprecano: dalla citazione di Fred Buscaglione nella seconda strofa, passando per il ritornello che chiaramente ricalca una frase di Adriana. Quindi in questo caso no. In ogni caso mi fa piacere che tu abbia notato questa cosa, perché in realtà il disco ha veramente una forte identità. Secondo me è un disco che va ascoltato dalla prima all’ultima traccia senza perdersene un pezzo per farsi il viaggio completo, poi ognuno può scegliere quali sono le sue tracce preferite ed è giusto che sia così; però l’insieme secondo me ha una ragione vera di esistere, quindi non avrei potuto mettere uno di questi pezzi in un altro album.»

«“L’Alternativa” è un’analisi sintetica ed esaustiva vista da una prospettiva personale della scena rap. In questa critica fai una sorta di tributo a Kaos rivisitando una strofa di “Cose Preziose”: “Questa musica non mi ha mai chiesto quanti anni avevo e camminava con me anche se non vedevo”. Nel caso fosse giusto, c’è una motivazione per la tua scelta?»

«È assolutamente quella, certo. Quando ho ascoltato quel brano ero più piccolino, non ricordo adesso nello specifico quanti anni avessi, ma non è che fossi meno meritevole di ascoltarlo. Ora c’è quasi una voglia di sputare contro un pubblico giovane, come se fosse il male. Il fatto è che non potrebbe essere altrimenti e non dovremmo stupirci di questa cosa; la differenza sostanziale è che noi eravamo molto di meno, rispetto a quanti sono adesso: nella mia classe c’ero solo io ad ascoltare rap. È proprio una constatazione. Mi sembra una posizione comunque anche dura da certi punti di vista, ma forse condivisibile da chi vive un po’ quest’ambiente e lo conosce con rispetto, come lo conosco io.»

Eppure sul ring il pugile che punta al trofeo si distrae, osserva il pubblico, cerca gli occhi che sostengono il corpo, che incoraggiano senza parlare, che danno quella forza necessaria per arrivare in cima al podio, benché siano distanti. Sono quelli che ti spronano a non farti sfuggire: “mi sento solo / schiacciato al suolo”.

«“Se Non Con Te” affronta il rapporto lavoro-vita personale. È un disagio che più di un artista ha espresso, ad esempio Salmo in “Faraway” quando dice: “Dicono che non potrei / Dicono che ho il cuore a metà / Scriverti fottuti versi d’amore, il dono dell’ubiquità” e allo stesso modo Ghemon in “Fuoriluogo Ovunque”: “Il mio lavoro tiene lontane le persone care”, “Guardo il mondo dietro a un oblò dei finestrini”. Perché tu hai sentito l’esigenza di esprimere questo aspetto così personale della tua vita?»

«Perché più praticamente sono andato via da casa da un po’ di anni. Prima ancora di far diventare il rap la mia prima occupazione, facevo un lavoro di trasferta, per il quale stavo via intere mesate e non tornavo mai. Negli ultimi sei, sette anni la mia vita ha avuto proprio un cambio radicale. Certamente un po’ per seguire ambiziosamente i miei sogni di fare del rap il mio impegno principale, un po’ per il lavoro che avevo prima, inevitabilmente mi sono perso dei pezzi per strada. La mia è un’analisi più intima, ma anche sofferta. Non è che faccio le tournée mondiali e sto via per anni interi, ma comunque la vita che conduco oggi è una vita frenetica, dove se non hai un minimo di valori e i piedi per terra, fai in fretta a perderti. Gli affetti personali sono sempre stati fondamentali ed importanti per la mia vita ed è giusto anche tributare in qualche modo. Una scrittura un po’ terapeutica in quel frangente.»

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«L’ultimo pezzo “Non è Un Addio” rimanda involontariamente al titolo di un altro pezzo “Non è un Arrivederci”. Il titolo ha un collegamento, le tematiche affrontate sono differenti. Mi puoi spiegare questa connessione tra i due pezzi?»

«Sì, era un po’ questo il gioco per me. Nel ritornello, quando mi sono venute fuori le parole e la melodia ovviamente mi sono ricordato subito dell’altra traccia, però l’una con l’altra c’entrano poco. “Vendetta” era un super tributo all’Hip Hop, mettiamola così. Invece, in “Non è Un Addio” parlo del distacco (che è un po’ il tema di “Se Non Con Te”), ma inteso come fisico, delle persone che non ci sono più e che se ne vanno. È una lettera a cuore aperto nei confronti di chi per me è stato sempre importante, ma non ho avuto la possibilità di potergli dire le cose, perché ci sono arrivato tardi. Il collegamento alla fine è solo a livello di titolo, però è stato studiato. Avrei potuto chiamarlo in un altro modo. “Non è Un Addio” mi sembrava bello, dopo “Non è un Arrivederci”. È una sorta di “auto-citazione”.»

«Ti senti veramente “forte come una roccia” o “era tutto un sogno”?»

«Una bella domanda questa. Qua non si smette mai di lavorare e fare in modo che le cose funzionino, quindi questa cosa del “sogno” come “essere arrivati” non ci deve essere mai, per quanto mi riguarda. È come se ogni giorno fosse un nuovo inizio; come se fossi partito ieri da zero; questo mi aiuta a rimanere concentrato, non aspettarsi nulla ed essere sempre sul pezzo: così ti fa godere anche più i risultati qualora arrivassero. Sto scrivendo ancora nei ritagli di tempo e c’è ancora un’evoluzione rispetto a “Rock Steady”, quindi la prossima roba sarà ancora un passo avanti verso una maturità comunque diversa. Spero che la gente lo noti. “Rock Steady” in realtà è anche più semplice dei miei lavori precedenti, nonostante questo non sia un sinonimo di banalità, secondo me. È difficile essere semplici, ma dire tutto, senza parlare a slogan. La mia evoluzione ancora non è completa. Quindi non mi sento sicuramente né sollevato, né arrivato, ovviamente sono contento dei miei risultati e spero di collezionarne ancora altri. Al contempo comunque dopo dieci anni di gavetta, dal punto quantomeno artistico c’è una certa solidità. Si celebra, ma nel contempo si lavora duro.»

E l’ultima nota è quella che fa suonare l’undicesimo round, in cui Ensi è ancora fermo, è statuario, in piedi e guarda avanti, che sfida il futuro in cui vede se stesso. La campanella del dodicesimo, è quello che lo farà vincitore o perdente, ma è quella che ancora deve rintoccare. Il round finale è l’evoluzione in cui la roccia diventa diamante.

Ensi

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Credits Top Photo: Filippo Leonardi

Anya Baglioni Autore

Anya Baglioni
Egocentrica con stile, creativa per necessità, public relator per vocazione, devota all'obiettivo e manager a tempo perso. Forse ho detto tutto.