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ARTS

Chi, se non Luca Barcellona, poteva curare l’immagine di un progetto come questo?

Lord Bean e il Logo di Street Opera

Scritto il 17/04/14 da Omar Rashid

“L’opera di strada per chi merita i suoi crediti…” cantava Lord Bean nel ’99 sull’album di Fritz Da Cat 950.

È proprio questa frase che, quando ho pensato al taglio che io e Haider volevamo dare al progetto Street Opera, mi ha fatto capire quale doveva essere il titolo.

Era già “scritto” chi avrebbe dovuto realizzare il logo: Luca Barcellona aka Lord Bean.

Quando siamo stati nel suo studio per assistere alla creazione del marchio ne abbiamo approfittato per parlare un po’ anche di quel pezzo che, piaccia o no, è un tassello fondamentale della storia dell’hip hop italiano.

«Street Opera dopo averlo fatto, l’ho odiato», ci racconta Luca, «forse perché l’ho sentito troppe volte ed era un momento in cui, soprattutto nell’hip hop italiano, non uscivano così tante cose come adesso (anche per una scarsezza di mezzi rispetto ad ora, era un pelino più difficile); quindi quando usciva un lavoro importante come era 950 (perché era un lavoro molto importante, anche se forse non ce ne rendevamo conto), i pezzi li sentivi fino a non poterne più. Quando il pezzo in questione è, non so, “Cose preziose” [di Kaos n.d.r.] va benissimo, quando è il tuo inizi un po’ ad odiarlo. Anche perché tu non hai deciso che qualcuno ti identificherà con quel pezzo lì e invece siamo qua… [ride]»

«Dopo un po’ ci ho fatto pace con il pezzo e ora mi sembra quasi di non averlo scritto io, anche perché l’ho fatto a diciannove anni e ora ne ho trentasei.
Riesco a sentirlo con distacco, sento che ci sono delle cose che mi piacciono ancora che hanno a che fare con la ricerca che c’era all’epoca. In particolare per un lavoro così importante scrivevi e riscrivevi prima di essere sicuro. Adesso mi sembra tutto più “cotto e magnato”.»

Mentre scherzavamo sul fatto che l’avessimo “incastrato” per la realizzazione del logo del progetto ci dice che è «contento che sia il titolo di un documentario che tratta di chi il rap lo sta facendo anche adesso. Io invece lo vivo come una passione. Mi piace, ma non lo faccio di mestiere e mi rendo conto che ci sono persone che, con aspetti molto molto diversi tra loro, stanno facendo la storia dell’hip hop italiano di adesso che è finalmente diventato “legale”. È diventato anche un mestiere e, aldilà di tutte le critiche che si possono fare, è gente che spacca il culo.»

Abbiamo parlato anche del live di Firenze e del fatto che, inaspettatamente, ragazzi giovanissimi conoscessero a memoria “Street Opera”. «Chiaramente mi aspettavo che ci fosse un pubblico di affezionati e coetanei e invece, quando ti trovi persone di neanche vent’anni che sanno a memoria dei pezzi che sono stati scritti quando loro erano appena nati, ti fa impressione. Ti fa piacere ed è la prova che adesso in Italia ci sono tantissimi sotto-generi dell’hip hop e non c’è più quella chiusura che c’era prima.

Al tempo c’era il genere che faceva Kaos, Neffa, Deda che era più hardcore, più colto e quello dell’Area Cronica, più leggero. E allora o stavi da una parte o dall’altra. Poi magari c’era Gente Guasta che metteva un po’ d’accordo tutti e due [ride]. Adesso sono talmente tante le sfaccettature che si va da quello che chiamano conscious (che poi secondo me è un po’ una cazzata… Che vuol dire fare il rap intelligente? Uno è intelligente o meno a prescindere dal rap che fa) al lolrap (quelli che fanno ridere senza saperlo). Tutte queste cose qui c’erano anche al tempo, ma semplicemente non gli avevamo dato un nome. C’erano delle cassettine scrause che ogni tanto ti giravano nell’autoradio».

«Non credo assolutamente a quelli che dicono “questo non è hip hop”. È semplicemente un aspetto dell’hip hop che in America c’è sempre stato. Mettetevi l’animo in pace e ascoltatevi quello che vi piace»

Prima di lasciarlo gli abbiamo chiesto di spiegarci perché avesse scelto questo tipo di lettering per il logo di Street Opera.

«Questo tipo di lettere viene da un percorso fatto di esperienze. Io studiando calligrafia mi sono approcciato inizialmente agli stili classici ed in particolare il gotico. Per molto tempo ho fatto solo quello, cercando di capire come erano fatte certe forme delle lettere e perché venivano fuori in quel modo lì.

Poi mi è venuto abbastanza naturale, inizialmente un po’ timidamente, di riportare tutta quella parte di studio che c’è nel writing; quel percorso di sketch fatti al lumino (che poi non è tanto diverso da quello che faccio qua) in cui si decostruiscono le lettere, quasi a renderle illeggibili.
In più c’è tutto un background di bagaglio culturale che ho sviluppato viaggiando e vedendo cose in giro per il mondo. Quindi adesso nelle mie lettere c’è qualcosa che viene dai graffiti, qualcosa che viene dagli stili classici, ma anche il “cholo” (il lettering delle gang ispaniche che si trova a Los Angeles) e la psichedelia. Sono tutti esperimenti di evoluzione della lettera o comunque di caratterizzazione forte del lettering. In questo momento sto cercando un po’ di trovare il mio e questa occasione mi sembrava perfetta.

Questo logo è una cosa che sentivo, perché è un titolo che un po’ mi appartiene in qualche modo [ride], quindi volevo fare qualcosa che fosse molto connotato».

Il logo lo avete intravisto, ma è ancora work in progress.

Restate sintonizzati per ulteriori aggiornamenti.

Omar Rashid Autore

Omar Rashid
È il gran capo e fondatore di GOLD,‭ ‬scrive di tutto e gestisce‭ ‬il circo dei cervelli di questo splendido progetto.‭