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MUSIC

Joe Lally dei Fugazi: Intervista a una leggenda del punk hardcore



“Mi sono trasferito a Roma circa 4 anni e mezzo fa. Mia moglie è italiana, della Basilicata, ma vive qui a Roma da 17 anni. Non mi piace molto l’idea di vivere in una grande città, ma se devo sceglierne una, Roma è fra queste. Io sono cresciuto nei dintorni di Washington, che in realtà non è una città molto grande: circa 600mila persone. E’ la capitale, è dove hanno scelto di mettere la sede del governo, ma nonostante questo non è una città molto grande. Non sempre le capitali degli stati in America sono città grandi. Di solito scelgono città minori per quella funzione. Non chiedermi perchè.”

Chi parla è Joe Lally, l’uomo che, nel 1986 assieme ad Ian Mackaye, fonda i Fugazi, uno dei tanti gruppi della scena punk hardcore di Washington che finirà per entrare nella leggenda. Assieme a loro anche Guy Picciotto (che si occupa dell’altra chitarra e delle voci) e Brendan Canty alla batteria.

I Fugazi rappresentano, per chi scrive, un vero e proprio mito della musica ed uno dei ricordi più belli di gioventù. Porterò sempre nel cuore l’emozione di averli avisti dal vivo, al Cpa, in quel lontano primo ottobre 1999. Contornati da un’aura di leggenda, almeno per il giovane pischello fiorentino che ero allora, i Fugazi furono all’altezza delle mie, enormi, aspettative, rispettando alla lettera tutto quello che si diceva di loro.

Ingresso al concerto a prezzo politico (5 fottutissime mila lire), zero merchandise, zero pose da star ed un live di una potenza allucinante. Nel quale, però, era richiesto di non pogare, pena l’allontamento coatto dallo show con tanto di rimborso del biglietto.

L’ultimo disco in studio dei Fugazi, ovviamente sulla mitica etichetta Dischord, a cui fa capo lo stesso Mackaye, risale purtroppo a 10 anni fa. Il gruppo non si è mai ufficialmente sciolto, ma è “in ghiaccio” ormai dal 2001 e, come capirete leggendo questa intervista, le speranze di rivederli assieme dal vivo o in studio sembrano davvero ridotte al lumicino.

Musicalmente parlando, i Fugazi erano autori di un hardcore minimale, se vogliamo sempre carico di tensione. Alla genialità delle chitarre di Mackaye e Picciotto faceva da contraltare la matematica ritmica furiosa creata dal basso di Lally e dalle pelli di Canty. Una perfetta macchina di distruzione sonora, talmente perfetta ed oliata da non aver mai pensato di cambiare formazione: o così, o nulla.

Più che un gruppo una famiglia, più che una famiglia una certezza.

Joe ha poi proseguito la sua carriera da solo, pubblicando, tra le altre cose, tre dischi solisti (l’ultimo dei quali “Why should I get used to it” rilasciato lo scorso aprile) ed un lavoro assieme a John Frusciante dei Red Hot Chili Peppers a nome Ataraxia. Nel frattempo, ha messo su famiglia e si è trasferito a Roma, imparando anche i rudimenti del nostro idioma.

Il resto? Scopritelo in questa intervista.

Che tipo di ambiente era Washington quando avete iniziato la vostra avventura coi Fugazi?
Era una fottuta città repubblicana perchè Reagan era al potere. E’ una città del governo e onestamente non fa molta differenza chi ci sia al potere: è una città molto conervatrice.

Era una città che dava ispirazione ad un musicista?
Non che io sapessi. Voglio dire, a quel punto, io mi ero appena trasferito nella city, stavo cominciando ad assaggiarla. Fino a quel momento avevo vissuto nel circondario, e andai verso Washington nel momento in cui cominciai il tour coi Beef Eater, una band su Dischord della quale io ero il roadie. Considera che io venivo dal Maryland, quindi… Sarà stato l’87… Per me Washington era semplicemente il nuovo posto in cui andare a vivere, non è che avessi il polso della situazione o della scena. Anche la sede della Dischord, dove provavamo, era abbastanza fuori dalla città.

Washington di fondo è un po’ strana: se vai in centro ci sono solo turisti, un po’ come a Roma se vogliamo, ma di notte la città tende a trasformarsi. Sempre in quella zona c’erano un paio di club, dove si riuniva la scena punk/hardcore, e poi c’erano un altro paio di posti, come la cantina di una chiesa, dove si tenevano i concerti ed era un po’ il posto dove andare per ricevere un po’ di attenzione. I concerti si tenevano un po’ ovunque, qualcuno sicuramente anche in Virginia, ma la scena era molto viva allora… C’erano diverse band interessanti. Col fatto che il governo aveva un atteggiamento così oppressivo verso la città, questo, per reazione, ha generato tantissime band.

Sei sempre in contatto con la scena locale?
Non proprio. La prima volta che ce ne siamo andati da DC era attorno al 2002-2003, quando ci siamo trasferiti a Los Angeles e poi nell’Oregon. Quindi capisci che, nel momento in cui sono diventato padre, non uscivo più molto la sera, non prestavo più molta attenzione alla scena, ed alla fine ne ho praticamente perso il contatto. Siamo tornati a DC per circa un annetto e poi ci siamo trasferiti in Italia. Quindi, tra una cosa ed un’altra, sono praticamente 10 anni che non ho più contatti con la scena di lì.

Questo è anche il motivo per cui non volevo che il mio ultimo disco (“Why should I get used to it?”) fosse un disco completamente Dischord. Ne abbiamo parlato con Ian (Mckaye) ed abbiamo deciso di uscire con un disco a metà, realizzato da Dischord e dalla mia etichetta (Tolotta), per ovviare a qualche bega di natura tecnica. Questo anche perchè quando vai in tour, e la gente si aspetta “qualcosa della Dischord”, credo che sarebbe stato ingiusto da parte mia dato che ho perso i contatti con Washington.

Che mi dici invece dei tuoi compagni di viaggio?
Assolutamente si. Ci sentiamo al telefono, ogni due mesi circa, soprattutto con Ian perchè abbiamo vissuto insieme e quindi abbiamo un rapporto più stretto. Ma ci sentiamo comunque con tutti. Quando ero in tour ho passato qualche giorno nell’area di DC, ci siamo incontrati tutti per discutere del progetto Fugazi Live Series (un archivio di vecchi concerti che la band ha messo in vendita online) e posso dirti che siamo stati bene assieme.

Quante volte al giorno ti chiedono di una reunion dei Fugazi?
Beh sai, in America qualcuno me lo chiedeva, mi è stato chiesto in un paio di interviste, ma sarebbe un processo talmente lungo per la band, quello di rendersi conto di cosa è oggi, che dovrebbe avvenire in maniera naturale. Perchè questo è quello che abbiamo sempre fatto, sia che riguardasse un pezzo da scrivere, o dove andare in tour, o quando fare uscire il disco: sono decisioni che abbiamo preso tutti assieme. Rimettere assieme la band oggi richiederebbe molto tempo.

Da una parte posso dirti che io mi sento sempre parte dei Fugazi, e posso dirti che il sentimento è comune ai miei compagni, perchè ufficialmente non ci siamo mai “sciolti”. Decidemmo di mettere i Fugazi da parte perchè non riuscivamo più a fare tutte quelle cose che era necessario fare per portare avanti la band. Quindi abbiamo deciso di accantonare il gruppo per un tempo indefinito, prima che lo stress ci portasse allo scioglimento per i motivi sbagliati. Al momento non c’è molto altro da dire sulla band.

Ritieni che i Fugazi siano una band politica?
No. Siamo una band.

Quale credi che sia il tuo/vostro lavoro migliore?
Partendo dal fatto che siamo stati assieme per 15 anni, direi che questo è un grosso risultato. Band molto più famose di noi sono riuscite a tenersi assieme per un periodo decisamente più breve, quindi direi che questo è il nostro risultato migliore. Per quanto riguarda i dischi, non saprei, è una cosa a cui non penso spesso e devo confessarti che non ho una riposta onesta alla tua domanda.

Il disco che io preferisco, ma è una cosa soggettiva ovviamente, è “Red Medicine”. Immagino di amarlo più degli altri perchè è il primo disco dei Fugazi che ho sentito.
Si, capisco cosa intendi. Da membro della band posso risponderti che fondamentalmente l’ultimo disco è quello che si tende a ritenere più interessante, perchè rappresenta un po’ un punto d’arrivo, la somma di quello che hai fatto fino a quel momento. Quindi direi “The argument”, perchè è l’ultima cosa che abbiamo fatto.

Credo che se la vostra carriera si potesse riassumere con una sola parola questa sarebbe “integrità”.
Anche a questa cosa non saprei risponderti. Questo perchè, essendo coinvolto nel progetto, non ci penso spesso, non saprei dirti qual è il nostro lavoro migliore o come descriverei la mia carriera, perchè, per farlo, dovrei ritrovarmi coi miei compagni per darti una risposta più esatta. Altrimenti, per risponderti, dovrei forzare me stesso in qualche modo. Dovrei avere un occhio esterno alla cosa per poterla descrivere, come il tuo, ma è ancora presto, perchè sono sempre coinvolto nei Fugazi nonostante non si faccia più musica assieme da anni. E’ difficile rispondere a queste cose quando sei coinvolto, perchè non c’è futuro o passato in quello che stai facendo.

Che cosa pensi dell’industria musicale oggi?
Non ho pensieri sull’industria musicale oggi.

Nessuno?
No dovrei pensarci. E allora il mio primo pensiero sarebbe “cos’è l’industria musicale oggi?” Ed il mio secondo pensiero sarebbe: “è quella cosa che manda quelle band in radio e che spinge quella musica così pop(olare) nelle riviste, eccetera, eccetera?” Ed il pensiero seguente sarebbe “non ho nessun interesse in qualsiasi cosa essa sia”. Quindi direi che questo, bene o male, riassume il mio pensiero in proposito.

Stai seguendo gli ultimi avvenimenti della politica italiana?
Ci provo. Cerco di decifrare quello che vedo. Mia suocera guarda semmpre le news, ma per me non è semplicissimo capire tutto quel che succede. Molta politica è mistero per me. Me la cavo decisamente meglio con quello americana, ma solo per il fatto che è nella mia lingua. Credo che comunque ci siano altri livelli di politica, penso che tutti governanti del mondo, loro, stiano lavorando per… – insomma, è come se a noi venisse mostrata solo la facciata, una maschera. Ma dietro quella maschera non ho veramente idea. Dopo aver visto le cose evolversi su scala globale sono arrivato a trarre le mie conclusioni personali, e credo che molti dei politici di tutto il mondo siano manipolati da un piccolo gruppo di persone che hanno tanti soldi. E tra questi non saprei indicarti un particolare politico, o un particolare funzionario, di qualsiasi livello, o qualcuno di quelli che crediamo di votare. Litighiamo, combattiamo tra noi per far eleggere un nostro rappresentante piuttosto che un altro, ma non sono più sicuro che questo faccia una reale differenza, per questo piccolo gruppo di persone con una disponibilità economica enorme. E loro sono capaci di manipolare le cose in un modo che noi non possiamo nemmeno cogliere.

Immagino tu sappia che Mario Monti, l’uomo che è stato mandato per sostituire Berlusconi, ha un background di banche alle sua spalle.
Si. Per Berlusconi era probabilmente il momento migliore per andarsene, considerando come ha ridotto l’Italia, e questo Monti ha colto l’occasione per prendere il suo posto. Ora io mi chiedo: ma la gente lo ha eletto? (a Berlusconi) Non lo so. La gente voleva che una persona così ricca prendesse il comando del paese? Perchè l’unica caratteristica per cui Berlusconi è famoso è la sua enorme fortuna. Ma una persona ricca, al potere, farà di tutto per difendere le proprie ricchezze senza curarsi di quelle altrui. Quindi non capisco cosa questo abbia a che fare col governare un paese. Non capisco neanche cosa questo abbia a che fare con la musica ma possiamo continuare a parlarne se ti va.

Vorrei solo saper se sei soddisfatto di quello che Obama ha fatto fino ad ora.
No. Soddisfatto non direi. Non sono soddisfatto dall’idea che le persone debbano vivere in un mondo dove sono illuse di poter creare un cambiamento reale attraverso il sistema che è stato creato per la loro interazione. E questo non mi soddisfa, siamo in un sistema che ci fa credere di poter fare qualcosa quando, contemporaneamente, le cose vengono manipolate in un luogo al quale noi non abbiamo accesso.

Immaginavi, all’inizio della tua carriera, che la band ti avrebbe permesso di girare tutto il mondo e di ottenere tutto questo successo?
Non ne avevo idea. Abbiamo cominciato scrivendo musica e, se tu me l’avessi detto allora, che tutte queste cose sarebbero accadute, non ci avrei assolutamente creduto. A quel tempo, non ero neanche mai stato su un aeroplano! Fino al 1986 non mi ero mai mosso da casa, non avevo idea che come band avremmo potuto “funzionare”, semplicemente facevamo musica. Cercavamo di fare una usica che amavamo e devo dire che accetto come un dono tutto quello che ho avuto grazie ai Fugazi.

Avresti mai detto che un giorno, l’emo, seppur in forma molto diversa da com’era e da come lo conoscevamo, sarebbe diventato una moda!?
No. La cosa “emo” era considerata come una specie di scherzo. Sicuramente il termine non aveva connotazioni positive, almeno all’epoca. Onestamente e’ anche vero che nessuno voleva usare quel termine, e che se tu stavi in una band che veniva macchiata con quell’appellativo non è che potevi esserne molto felice. Io non stavo certo in un gruppo che poteva essere considerato emo, ma conosco persone che ne facevano parte e certo non era felici di questa etichetta. Non che significhi molto, specialmente adesso: è solo un termine che viene “passato” fino a che non diventa un genere commerciale.

Ok, ultima domanda: cosa consiglieresti ad un gruppo di ragazzi che oggi voglion tirar su una band?
Scrivete la musica che amate ed uscite a suonarla, ovunque possiate, in qualsiasi modo possibile. E’ difficile rispondere, ho difficoltà anche a capire cosa fare di me stesso, quindi ad una giovane band… Non so… Se io fossi giovane adesso non so se farei musica. Lo scenario è cambiato completamente, le influenze sarebbero completamente diverse rispetto a 30 anni fa, e non so se queste stesse cose mi porterebbero a fare musica anche oggi. Non so cosa circondi i ragazzini di adesso, non so quale sia la loro scena, o cosa possano procurarsi, o con cosa possano venire in contatto. Ma se hanno qualcosa che li ispira, ed hanno voglia di fare musica, allora che la facciano, senza prestar ascolto a nessuno. Neanche a me!

Joe Lally sarà dal vivo all’Exfila di Firenze (via Monsignor Leto Casini 1 ingresso con tessera ARCI)
venerdì 16 dicembre, ospite della rassegna Sottosuono. Il suo concerto è vivamente consigliato.