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Goodbye Gil



E così il freddo inverno americano arrivò anche da noi. Fuori stagione, in un giorno di fine maggio.
Gil Scott Heron se ne va, proprio quando era tornato, discograficamente parlando, col suo lavoro del 2010 “I’m new here”, uscito a 16 (sedici!) anni di distanza dal precedente “Spirits”.

Non che questo significhi che il buon Gil sia stato a girarsi i pollici per tutto questo tempo, anzi.

Passa alla storia come uno dei padri del rap, etichetta dalla quale lui si è sempre allontanato. Qualcuno ha definito il suo lavoro “proto – rap” per l’influenza che il suo spoken word, a suo volta mutuato dal lavoro degli imprescindibili Last Poets, ha avuto nel formare la struttura del rap moderno.

Lui scherzando, ma fino ad un certo punto, ha detto che, più che il “merito” di aver dato il via al rap, preferisce prendersene la “colpa”.

Credo che questa frase significhi molto.
La cosa più facile da fare in questo caso sarebbe stata quella di prendersi tutti gli onori, salire sul carro dei vincitori e far passare tutto il resto in cavalleria. Invece il coscienzioso Gil ha voluto mettere le cose in chiaro, in musica (col brano “Message to the messengers” dove invita i rapper a prendersi le responsabilità di quello che dicono rispetto alle giovani generazioni) e in una serie di interviste.

Ecco cosa diceva Gil degli mc nei primi anni ’90.

“They need to study music. I played in several bands before I began my career as a poet. There’s a big difference between putting words over some music, and blending those same words into the music. There’s not a lot of humor. They use a lot of slang and colloquialisms, and you don’t really see inside the person. Instead, you just get a lot of posturing.”

Trad. Devono studiare musica. Io ho suonato in diverse band prima di iniziare la mia carriera come poeta. C’è una grossa differenza tra il mettere alcune parole sopra un po’ di musica ed il mischiare quelle stesse parole NELLA musica. Non hanno molto senso dell’umorismo. Usano molto slang e molte forme colloquiali e così non vedi realmente dentro le persone. Invece, ti becchi solo un sacco di atteggiati.”

Potremmo aggiungere molto altro, potremmo parlare di “The revolution will not be televised” (che nel 1995 divenne spot per la Nike col benestare di Chuck D e di KRS One che ci rappava sopra, causando non poche controversie), dell’importanza che ha avuto nel dare una direzione al rap più politico e “conscious”, dei giudizi, sempre schietti, che dava invece all’hip hop moderno (“ormai è rivolto ai ragazzini, io ascolto le stazioni jazz”), dell’infinito riconoscimento tributatogli dagli mc più diversi, da Usher al già citato Chuck D, da Lupe Fiasco al prezzemolino Kanye West.

Noi abbiamo voluto omaggiarlo così, facendo la cosa che ci riesce meglio.
Peace brotha.

Grafica di Luca “Bober” Palmas