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L'IGNORANZA È UN BENE
LOCAL HEROES

Jaka



Jaka

Più che Local Hero questo è un (G)local Hero.

Alzi la mano chi non conosce il Jaka. Ok, voi siete in punizione per il resto della giornata.

Era fondamentale che un personaggio di questo spessore apparisse in questo format (perchè questo è Local Heroes: un format. Il resto sono seghe mentali vostre.) perchè da sempre si sbatte per promuovere la scena, una scena che da queste parti esiste proprio grazie a persone come lui o come il Generale (che infatti già compare in LH). Trasferitosi da Trapani nel capoluogo toscano, Giuseppe Giacalone, in arte il Jaka, è una colonna portante per la Toscana, sia che prenda il microfono per farvi ballare, sia che prenda il microfono per educarvi con Bongoman, programma radio che proprio questo venerdì celebra il suo ventennale.

Il mio primo disco è del ’91, ho fatto parte della prima generazione di rimatori in dialetto. Eravamo sospesi tra rap e ragamuffin, generalmente inseriti nel filone delle “posse” ma in realtà eravamo più di quello. A Firenze ho suonato veramente ovunque dal locale fighetto allo squat più malmesso

Questo mi diceva il Jaka in una vecchia intervista risalente a circa due anni fa, quando lo incontrai mentre era impegnato a promuovere il suo vecchio lavoro “Spiritual R-evolution” che vede anche la presenza della Fire Band ovvero i Michelangelo Buonarroti.

Ed è proprio l’ evoluzione spirituale la summa della poetica artistica del toaster siciliano, come confermano le sue parole a cui poco altro va aggiunto.

E’ necessaria un’evoluzione personale da parte delle persone per arrivare ad avere una rivoluzione spontanea, altrimenti si otterranno sempre e solo cambiamenti di forma ma non di sostanza. L’uomo deve imparare a guardarsi dentro, altrimenti il problema è sempre il prossimo, l’altro.

In arrivo a breve (ci torneremo sopra sicuramente) c’è il nuovo disco del Jaka che sarà intitolato “Forza originaria”. (registrato al Bunker Sound con Prince Vibe e Fede k9) Per ingannare l’attesa, da qualche settimana è già in circolazione un bel video che anticipa l’album. Il pezzo in questione è “A Erice” storia d’amore d’altri tempi girata nel paese natale del Jaka. Il video veleggia forte oltre le 60mila visualizzazioni e, se da una parte è vero che questo tipo di numeri non svoltano una carriera, dall’altra è innegabile che questi segnino una tendenza.

Questo il video di “A Erice

E’ responsabiltà degli artisti l’influenza che hanno sulla società. Io cerco di essere positivo per non aggiungere altro dolore a quello che già c’è. Però spingo le persone a prendere coscienza, a prendere posizioni sociali e politiche. Il reggae, così come il rap, è ormai un linguaggio metabolizzato che nasce dalla tradizione orale africana e mette al centro la parola. Quando sono arrivato qui, la gente il reggae neanche sapeva ballarlo! (ride)

Proprio per questa sua presenza nella scena dal giorno uno, se non dal giorno zero, espongo a Jaka una domanda che da sempre mi frulla nel cervello.

Deiv Perchè secondo te si è sviluppata una scena reggae così forte a Firenze a differenza di quella hip hop che invece ancora fa fatica?

Jaka La domanda è molto interessante. Partiamo anzitutto da una constatazione di base, mia personale: il reggae ha un attitudine positiva, gioiosa, di comunicazione immediata che, forse, ha interpretato meglio lo spirito e la vita dei ragazzi, in Toscana, come nel resto d’Italia. Ma parliamo di Firenze. Quello che voglio dire è che il reggae, in Toscana, da noi, ha sempre parlato un linguaggio semplice, naturale, il linguaggio della gente, dei ragazzi. Per esempio quando iniziammo io e il Generale facevamo questo programma alla radio, un ragga-notiziario che andava in onda su Controradio, dove ogni settimana commentavamo un fatto di cronaca in rima. Allora abitavo in una casa occupata e montavamo uno speciale di Bongoman, che all’epoca si chiamava Bomboklat, di un quarto d’ora circa, in cui si prendeva in considerazione il fatto del giorno e su questa cosa ci si faceva una canzone. Ebbe un successo incredibile.

Deiv Ci credo! Mi piacerebbe sentirlo anche oggi!

Jaka Molti pezzi del Jaka e del Generale nacquero da lì, come “Ragga Soldati” oppure “Soldi per Boboli” ispirata dal fatto che misero il biglietto per entrare a Boboli. Credo che il successo sia nato dal fatto che avevamo un linguaggio molto legato alla realtà della gente: il fatto di parlare di cose che tutti stavano vivendo in quel momento. Credo invece che il rap in Toscana non abbia mai avuto questa specificità cioè, per dirla in maniera molto semplice, non ho ancora trovato un rapper che parla come mangia. Il rap secondo me si è un po’ troppo parlato addosso.

Deiv Che un po’ fa parte del gioco.

Jaka Che fa parte del gioco, però è un barocchismo, perchè la forza comunicativa del rap è quella di parlare a tutti. Cioè quando tu senti un rapper, questo si parla addosso o sta parlando a te? Perchè può anche essere divertente sentirlo parlarsi addosso con tutte le sue evoluzioni tecniche però, voglio dire, il rap di fondo è comunicazione. Nasce per questo. Se tu guardi le origini, Afrika Bambaataa e la Zulu Nation, James Brown, Malcolm X o i Last Poets, questa gente da cui si è sviluppata la tradizione orale afro-americana, l’intento comunicativo è fondamentale. Quindi secondo me questa forza propulsiva in Toscana si è un po’ persa. Quando poi Fabri Fibra ha riportato il rap a livello nazionale, che ti piaccia o meno, che tu condivida o meno, questo ti fa capire che con la semplicità si riesce ad arrivare a tutti. Quindi credo che la scena hip hop abbia un po’ mancato in questo. In Toscana si è sviluppato molto nei club, per gli americani, come cosa “ballereccia”, però ecco a livello di rap, cioè di incastrare parole per farci musica, non credo che ci siano mai stati rapper sufficientemente comunicativi, che abbian fatto canzoni dove i giovani fiorentini o toscani potessero ritrovarcisi. Nel reggae, modestamente, credo che ci siamo riusciti. E questo nonostante il fatto che la scena reggae in Toscana sia diversissima: io per esempio vivo in Toscana ma molti dei miei pezzi sono cantati in dialetto siciliano. Ho portato la ricchezza della mia eredità culturale in questa terra, in questa scena, cosa che è stata molto apprezzata. Il Generale ha portato la sua esperienza di fiorentino incallito, il suo senso dell’umorismo, il suo linguaggio forbito. Anche i Bombabomba avevano questo linguaggio ironico, a volte semplice forse, ma sicuramente immediato. Sistah Kinky mi piace perchè è molto giovane, canta in jamaicano anche se ultimamente canta spesso in italiano, le ho sentito fare delle cose fantastiche.

Deiv Ne fai più un discorso di attitudine quindi.

Jaka Si, più di attitudine. Credo sia rimasta più positiva. Che poi stiamo parlando di due generi che sono cugini, sono due rami dello stesso albero.

Deiv Cosa che comunque, in parte, si è verificata anche nel reggae no, con l’arrivo di tutti i vari “gangsterini” o supposti “gangsterini”..

Jaka Si, e questo è anche colpa dell’America, dell’industria musicale, mediatica americana, che ha imposto un modello di hip hop. Questo ci tengo a specificarlo. Poi in particolare i fiorentini che prendono tutto e tutti per il culo… a loro non piace questa attitudine viziata, che non sentono vera e genuina. Quindi artisti come i Public Enemy, o KRS One o anche personaggi di confine come Michael Franti, quelli che avevano qualcosa da dire insomma, non sono più stati spinti come il “modello blingbling”. Quindi lo schema è: fica, soldi, pistole. Questo fa i soldi e questo vendiamo, questo vuole la gente e questo noi gli diamo. E così lo teniamo. E la cosa si è riversata anche in Italia. Fabri Fibra faceva dischi grandiosi quando nessuno sapeva chi era, la scena rap italiana è andata avanti per 20 anni con rapper fenomenali che nessuno si è mai inculato. Quindi l’industria americana si è imposta di vendere il rap anche in Italia facendo un discorso del tipo: “ora mi trovate quattro cazzo di rapper che cantano di strozzare la vicina o di cacare in testa a qualcuno.

Deiv Beh, si, è andata realmente così.

Jaka Si che è andata così! A me viene da ridere perchè una volta andai in questa grande major a presentare il mio disco e ricordo che il direttore artistico mi disse: “Jaka, questo è un disco straordinario, grandissimi pezzi, suona da paura, tu sei un cantante come non ce ne sono, ecc ecc però, ecco, i tuoi testi, sono troppo positivi! Non va bene, ci vogliono cose tipo vaffanculo qui, vaffanculo là, ora funziona l’attitudine negativa, devastante.”
Quindi abbiamo a che fare con queste realtà, non ci meravigliamo se i modelli culturali che passano sono solamente questi, quindi la violenza, l’eccesso e dove qualsiasi invito al buon senso viene scambiato per moralismo o per buonismo. Quindi, intendiamoci, a me piace quando il rapper fa una fotografia, anche cruda, della realtà, ma non quando la glorifica. Io credo che questo abbia allontanato il rap dalla gente, qui in Toscana, a favore del reggae, mentre sui media le cose sono andate diversamente. Il reggae in radio o in tv non esiste, eppure la scena va avanti fortissima con sound system, dancehall, crew, un movimento underground enorme, forse il più grande a livello italiano. Il reagge è diffusissimo, anche se non si vede.

Quindi, se volete sentirlo, le frequenze sono quelle di Controradio, se volete vederlo l’appuntamento è il prossimo venerdì 11 marzo all’Auditorium Flog di Firenze con tutti i protagonisti della scena Toscana. (Clicca qui per saperne di più sul concerto alla Flog).

Per maggiori informazioni facebook.com/iljaka

Top 5 del Jaka (in nessun ordine di preferenza)

  • Black Uhuru – Black Sounds Of Freedom
  • Public Enemy – It Takes A Nation Of Millions …..
  • Prince – Sign Of The Times
  • The Clash – London Calling
  • Buju Banton – Til Shiloh

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