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NUCULARE, SI PRONUCIA NUCULARE
VARIE

Faber



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Oggi, 11 Gennaio, a 9 anni di distanza da un maledetto giorno, risuonano nella mia camera le parole taglienti di una vecchia, ma sempre attuale poesia. Era così che funzionava quel tipo di arte, che si capisse o no, che si condividesse o meno, ad ogni strofa c’era un incontrollato brivido che saliva su per la colonna vertebrale fino all’altezza del cuore e dal sentimentalismo di quell’inflazionato organo, in un attimo, si scendeva alla bocca dello stomaco, dove la colpa il rimpianto e la coscienza, battevano sulle pareti molli, per ricordarci una responsabilità o la crudezza di un sogno abbandonato. Quella data è ormai lontana, ero piccolo per soffrire, ma troppo grande per ignorare… rimasi nel mezzo, certo di aver perso qualcosa, ma sicuro che, da lì in avanti, avrei trovato sempre un sentimento forte all’interno di alcune strofe.

Vorrei scrivere molto di più, ma non renderei comunque l’idea.

Era un uomo, non un eroe, non un santo. Solo un uomo che scriveva poesie, li chiamano poeti, forse per generalizzare, ma lui non aveva niente di generico.

Era Fabrizio De André.

Addio amico fragile.

Tu prova ad avere un mondo nel cuore
e non riesci ad esprimerlo con le parole,
e la luce del giorno si divide la piazza
tra un villaggio che ride e te, lo scemo che passa,
e neppure la notte ti lascia da solo:
gli altri sognan se stessi e tu sogni di loro./
E sì, anche tu andresti a cercare
le parole sicure per farti ascoltare:
per stupire mezz’ora basta un libro di storia,
io cercai d’imparare la Treccani a memoria,
e dopo maiale, Majakowsky e malfatto,
continuarono gli altri fino a leggermi matto./
E senza sapere a chi dovessi la vita
in un manicomio io l’ho restituita:
qui sulla collina dormo malvolentieri
eppure c’è luce ormai nei miei pensieri,
qui nella penombra ora invento parole
ma rimpiango una luce, la luce del sole./
Le mie ossa regalano ancora alla vita:
le regalano ancora erba fiorita.
Ma la vita è rimasta nelle voci in sordina
di chi ha perso lo scemo e lo piange in collina;
di chi ancora bisbiglia con la stessa ironia
una morte pietosa lo strappò alla pazzia.