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“Fablab”, Una Rivoluzione Sostanziale



Se la produzione industriale delle merci diventasse produzione personale e autogestita saremmo di fronte a una nuova era economica e sociale. Questa idea utopica e dai contorni irrealizzabili si è fatta strada piano piano negli ultimi anni con la creazione dei Fablab.

La loro grande innovazione, definita da qualcuno come la terza rivoluzione industriale, consiste nel rendere accessibili un tipo di macchinari, carissimi e fino a poco tempo fa riservati a un élite, a tutti.

Il fabrication laboratory è un laboratorio dove si realizzano fabbricazioni digitali. Il concetto è stato sviluppato per la prima volta nel 2005 dal Centro Bit & Atoms (CBA) del Massachusetts Institute of Technology (MIT) e si è diffuso in tutto il mondo. Il MIT CBA ha investito milioni di dollari in macchine per la ricerca delle realizzazioni digitali e per lo sviluppo di assemblatori molecolari programmabili.

I Fablab generalmente offrono servizi al pubblico favorendo l’accesso al sapere in una forma collettiva e diffusa delle culture digitali, mettendo in condivisione strumenti e macchinari, ma soprattutto conoscenze tecniche per sviluppare progetti innovativi.

L’ultimo laboratorio nato a Roma è il CAD, Cantiere analogico digitale, inaugurato sabato 20 maggio nel quartiere di Portonaccio.

L’associazione CAD unisce due delle realtà più innovative del momento: quella del Fablab e del Co-working, in un unico laboratorio multidisciplinare.

Offre fino a 15 postazioni di lavoro, 4 uffici/ laboratori, una sala formazione e uno spazio ricreativo. Nell’area Fablab sono disponibili macchinari di stampa e scanner 3D, laser cut, fresa CNC, plotter da taglio, aerografi, terme pressa e falegnameria, per lavori di progettazione e prototipazione e la realizzazione di allestimenti, design da interni e scenografie.

Lo spazio Co-working propone un servizio a tariffa mensile o pay-as-you per poter usare Wi-fi, stampante, scanner, Fax, l’accesso alla sala riunioni e l’uso di tutti i macchinari su prenotazione.

L’idea di creare un laboratorio condiviso nasce dalla voglia di cambiamento di uno degli associati, Alessandra Barberio (che cura la parte amministrativa) e dall’esigenza di sperimentare cose nuove e originali dopo anni passati a fare il lavoro di avvocato. «Volevo cambiare vita e con il mio socio  abbiamo deciso di lanciarci in questa nuova avventura». La neonata attività ha come progetto per il futuro quello di creare un centro di arti digitali polivalente, di «partire da un corso di stampante base 3D fino ad arrivare a offrire corsi di formazione per l’utilizzo dei macchinari, di programmazione hardware e software come Arduino. Sono già attivi workshop di fotografia, artigianato, realtà aumentata, cosmesi, erboristeria». Ma lo scopo principale è garantire l’accesso a dei macchinari normalmente troppo costosi e riservati a pochi, dando la possibilità a chiunque di accedervi, in un’ottica critica e alternativa all’attuale modello economico, attraverso la condivisione di spazi, conoscenze e strumenti, per «dare la possibilità a tutti di sviluppare un’idea, perché questo è il futuro».

Si argina in questo modo anche il problema dell’obsolescenza programmata, la furba strategia economica di rendere un prodotto vecchio dopo poco tempo che è in commercio, e che crea rifiuti difficili da smaltire. Perché se i consumatori possono aggiustare i loro prodotti e riutilizzarli nel tempo e se possono auto prodursi quello che desiderano la rivoluzione è fatta: dall’idea, cioè la sostanza, alla realizzazione fisica dell’oggetto, cioè la forma.

L’eterna dicotomia tra forma e sostanza nata con Platone e Aristotele si traduce così nell’era moderna nella ricerca di nuovi strumenti per collegare i contenuti alla rappresentazione grafica e fisica.

E la si può vedere in molteplici azioni quotidiane.

La modalità di fruizione di un brano musicale non passa più per il possesso concreto di un vinile, ma tramite piattaforme digitali come YouTube o Spotify.

Le mostre nei musei diventano interattive e in 3D e le opere digitali sono accessibili al pubblico quasi come un video game hands-on.

Si verifica così una totale decontestualizzazione dell’opera rispetto alla sua  provenienza culturale e sociale. La forma prevarica la sostanza.

In questa Gestalt moderna, l’immagine virtuale diventa preponderante e sembra che stia trasformando la realtà in un surrogato imperfetto.

Una nuova disciplina come quella dell’architettura digitale utilizza i software per riprogettare e reinventare la prospettiva e l’architettura tradizionale, ridefinendo lo spazio fisico e trasformandolo nella sua essenza. Questa utopia architettonica non fa riferimento solo a elementi reali, ma a cyberspazi come i siti internet  o le piattaforme dei social media.

Ma il concetto di cyberspazio nato dalla fantascienza cyberpunk di William Gibson e dai racconti di Isaac Asimov è ormai passato, e si creano nuove dimensioni e aree fisiche delle arti digitali.

I Fablab sembrano essere diventati i contenitori dove poter realizzare le moderne espressioni artistiche: la riproduzione tridimensionale di un oggetto realizzata con le stampanti 3D in un laboratorio è la realizzazione fisica di un’idea e la moderna prototipazione della sostanza, cioè la costruzione di un prototipo immaginario in un oggetto tangibile. Il contenuto e l’essenza delle arti digitali e dell’artigianato 2.0 sono alla continua ricerca della loro apparenza ed esteriorità e chissà che non la trovino nella condivisione degli spazi e delle idee.

Articolo a cura di: Chiara De Carolis.