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Ci sono quelle giornate, ogni tanto, quando ci si sveglia nel proprio letto, seppur non stanchi, e perdiamo improvvisamente il patetico entusiasmo del giorno nuovo. Ed è così, forse ancora sbronzi, o forse fin troppo sobri, che per qualche lungo attimo, poniamo la domanda su cosa ci spinga ad alzarci, anche oggi, come il giorno prima, e quello prima. Migliaia di giorni, uno dopo l’altro, a strapparci di dosso, con meccanica agilità, le coperte. Che sia stata ciascuna mattina motivata?

Torna in mente il sapore sulla lingua della tazza di caffè, praticamente lo stesso sapore, lo stesso odore amaro da decine di anni, migliaia di mattine; il sapore indigeribile del dentifricio, la sensazione secca sul volto appena lavato. Ricordiamo l’odore di chiuso nel corridoio del nostro condominio, lo sciacquone tirato, il suono del traffico mattutino. Anche adesso, non è assurdo? Sotto le coperte sbiancate di quest’albergo, anche qui, i rumori paiono gli stessi. Una strada trafficata ha lo stesso suono in ogni città. Lo stesso insopportabile clamore.

Poi, stanco, ancora mezzo addormentato, ti volti e sul cuscino noti un tuo capello, un piccolo filo scuro tra i suoi risvolti: che cosa significa?

Ti domandi tutto a un tratto da quanto ti mangi un’arancia. Da quanto non vai a correre. Ti ricordi le venti ore di piscina che hai acquistato su groupon, e mai utilizzato.

Possibile che, possibile, possibile che in tutte queste corse, in questi affanni, in questi attimi deliranti, in questa vita sociale, in questa vita continua, in questa vita movimentata, lucrosa, ci si riesce a dimenticare di se stessi?

Svegliati, invece. Muoviti. Goditi quell’attimo che stai dimenticando, non lo sprecare. Goditelo. Sei su questo letto adesso, guardane il soffitto. Quante volte abbiamo trovato un attimo di pazienza per fissare i lineamenti, i motivi, i colori di un soffitto? Agire non è completare.

Metà delle cose per cui fatichiamo tanto, per cui ci lanciamo a fine giornata distrutti sul letto sono vaghe, disperatamente inutili. Per sempre inconcluse. Sono ripetute, dinuovo e dinuovo, da te, da altri, da altri ancora. Fogli su fogli, pratiche su pratiche, pensieri su pensieri.

Sprecare il tempo non è non fare nulla, ma fare qualcosa che non ha importanza. Tu sei il tuo tempo. Tu sei la tua esistenza.

Guarda il tuo soffitto invece, stai pensando, stai riflettendo adesso, e ciò significa che sta funzionando. Hai messo a parte le tue notifiche di fb per un attimo, hai nascosto dai pensieri la bolletta. Sei nel posto perfetto, sei più vicino al paradiso possibile, quello terrestre, quello tuo, quello personale. Sei al caldo, sei al chiuso, sei solo, disteso. Te ne sei reso conto? Cosa vuoi desiderare di più, adesso? Ora, in questo istante? Qualunque, ogni singola altra richiesta complicherebbe mille volte questa beata, semplice, perfetta situazione.

Un giorno si spegne ogni ventiquattro ore, ma quante di queste ne vivi tu? Il tuo cervello è il tuo manovale: nel farne uso noi esistiamo. Esistiamo in proporzione al suo utilizzo. Anche nel sognare ne facciamo uso: noi esistiamo, abbiamo dei pensieri, delle visioni, dei desideri e passioni. Soffri, ma non rifletterci. Piangi, ma impara. Ricorda. Non goderti l’attimo, estendilo. Rendilo perfetto, rendilo eterno. Un’estesa gioia ha più valore di una fila di leggeri sorrisi. Le tue sofferenze per altri sono magnifici sogni di beatitudine. La tua vecchiaia è poesia, la tua sofferenza un battito di cuore, una fitta amara, ma viva. Sei vivo. Il resto è solo un complesso effetto. L’importante è che adesso sei vivo, e che tu renda questa concezione continua.

Ma se non la fame, se non il bisogno del bagno, che cosa mi costringe fuori dalle lenzuola? Potremmo vivere in eterno qui dentro, vivendo solo di pensieri, di soffici sogni… eppure no. Qualcosa ci trascina fuori, ci suona nel profondo dei sensi un’inarrestabile sveglia.

Ogni vita nasce uguale, ogni vita finisce nello stesso modo… eppure nel mezzo, eppure nell’insieme qualcosa si distingue, si estende… esiste il dubbio, la curiosità, il pensiero di rivedere occhi, di vedere sorrisi, persi da così tanto tempo, assaggiare labbra tanto rimpiante. Che sia questa la causa che ci tira su ogni mattina dal letto? La dolce attesa, la curiosità infantile, la speranza di cambiare, rivivere i sogni.

Sì, adesso è ora di alzarci dal letto, fissare fuori dalla finestra, riprendersi da questa terribile sbronza che è la vita. Esco a comprarmi una bella camicia, perché no? Stasera forse incontreremo qualcun altro, qualcuno di nuovo, oppure no, rincontreremo qualcuno di visto e rivisto ma che ci sembrerà immenso, unico, incredibile…finalmente, affronteremo il peso dei nostri addii, delle nostre scelte, dei nostri vizi e i nostri piaceri. Faremo questo, sì, e nel mezzo, chissà, forse quello che si cela in ogni alba, in ogni tramonto, quella immensa dolce fatalità. Basta far si che accada.

Passo adattato da Le Note del Tempo’ (2013)

pg 62-63 dello stesso autore.

Anno 2013. Graphics by Max Pirsky

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