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Chicks&Types: Shirley



Che la tipografia (nel senso anglosassone del disegno dei caratteri – non in quello nostrano del posto dove si stampa) fosse una roba erotica, è cosa nota. Forse anche solo per una questione di vocabolario: perché si parla d’anatomia: di corpo, di grazie, di curve… di forme femminili, insomma. Che in inglese, poi, è ancora peggio – che i discendenti si chiamano legs, tipo – e non stupisce che ci sia chi traduce font al femminile (il dizionario lo permette) e dice “ho usato questa font“.

A contribuire poi al fascino porno(tipo)grafico è l’offrirsi delle suddette font in un catalogo di delizie. Perché i caratteri vanno scelti, capite. Per ogni grafico la palette di selezione dei caratteri in Illustrator è un po’ come il catalogo delle dame del Don Giovanni di Mozart. Quello che recita, per capirsi: “Chi ad una è fedele, alle altre è crudele…”. E difatti la monogamia non è certo facile per chi commercia coi caratteri, che tutti sanno che basta sentenziare cose tipo “D’ora in avanti userò solo l’Helvetica” per ritrovarsi a cedere alle lusinghe tutte seicentesche e libertine e francesi d’un Garamond…

Simone Massoni, questa cosa l’ha capita bene: la storia delle forme femminili, e delle grazie, e anche dell’inglese, e soprattutto del catalogo di delizie. Ha fatto un calendario che si chiama “Chicks & Types”, che è una gara di sensualità tra le curve femminili e quelle tipografiche. Ha invitato Cosimo Lorenzo Pancini, da lungo tempo malato delle medesime passioni, a scrivere attorno a questi disegni delle storie.

Shirley

– Sei proprio proprio sicuro che questa roba vende?
Venda. Gli anni venti sono in, bimba. Sono veramente in.
– E’ che il boa fa caldo.
– Toglitelo.
– See, come non sapessi che voi fotografi pensate solo a quello.
Allontano l’occhio dal mirino della macchina fotografica. La fisso, con uno sguardo di lieve digusto.
E’ importante, lo sguardo di lieve disgusto.
L’ho studiato allo specchio un sacco.
Perché la scenata “per chi mi hai preso, sono un professionista”, non ha il decimo dell’effetto che ha lo sguardo di lieve disgusto, quello che dice “mattipare che uno come me che ne ha viste a centinaia, adesso, si infoia per una come te – a migliaia, altro che”.
Tengo lo sguardo di lieve disgusto per un secondo, poi la riguardo dal mirino della 5D.
Lei si toglie il boa, con lo sguardo basso.
Ci vogliono almeno altri quaranta minuti e tre sguardi di lieve disgusto per fotografarla nuda.

-La sciarpa – dice Shirley inquadrandolo – perché non la…
E si ferma, si perde in un sorriso enigmatico.
-Che c’é? – chiede Osvald.
-Ricordi.
-E’ una cosa bella?
Lei mima la voce di lui con un falsetto dispettoso -“Toglitelo, il boa
-Quando ci siamo incontrati? Che tenera che sei…
-Quando ci siamo incontrati. Che stronzo che eri.
Si fissano, gli occhi brillanti di sfida.
-Dev’essere bello, d’estate, questo posto. – fa lui roteando l’indice nell’aria e includendoci il patio del ristorante, il litorale deserto, il mare grigio.
Lei giochicchia con la chiusura dell’sx70 nel modo che sa dargli fastidio.
-Mah. Bimbetti col costumino e mamme cellulitiche.
-Intanto ti piacevo.
-Vabbè, si sa, il fascino della divisa… Tutte quelle luci, lo studio…
-Non mi pareva fosse solo quello. Posso abbracciarla?, mi hai detto alla fine.
-Mi avevi fatto delle belle foto. A parte le paillettes.
-Le stylist, morissero tutte. Solo belle?
-Carucce. No?
-All’inizio, una peggio dell’altra. Ma più pensavo che eri inesperta, e difficile, e che non mi stavano dando abbastanza soldi per quel lavoro, più mi sentivo… boh: incapace. Come se invece tu avessi qualcosa di bellissimo dentro, e mi fosse impossibile fissarlo, per farlo vedere agli altri come… No, ti ricordi quanto ci siamo stati? …alla fine, sì. Sono venute carucce.
Rimangono un battito di ciglia in silenzio, poi lei cede.
-Erano splendide. Sono bellissime. Come tutto ciò che fai. Lo sai che a casa mi sono messa a piangere? E dire che posavo così di merda…
-Un po’. – fa spallucce, poi stringe gli occhi, serio – E ora sei quella che tutti vogliono.
-Mi ha insegnato tutto uno che è molto bravo.
-Molto bravo. Mi sa che lo conosco. – sorride lui.
-Già, quel tuo amico, sai, come si chiama? Thierry qualcosa…
Lui le si avvicina, le strappa la macchina fotografica di mano. Lei cerca di riprenderla, lo graffia quando lui le blocca il polso. Nel momento in cui lui chiude a scatto la macchina dietro la schiena, lei si abbassa a mordergli la mano, gli occhi perle nere tra i riccioli.
-Ahio. Molla.
-Tu paffa la effeicsfettanta. – ringhia lei.
Lui scoppia a ridere, cede.
Lei apre a scatto, tirando delicatamente, nel modo che gli ha insegnato lui. Lo inquadra di nuovo.
-E adesso spogliati, dai.

-Col cazzo che ci vado a Parigi. Se ne trovano un’altra. Diglielo. Sai quante ci vanno, per quella cifra. Dai, ti richiamo, ok?… Ciao. Sì. Dai. Ciao.
Poggio il cellulare a faccia in giù sul tavolo, e Osvald continua a fissarlo come fosse un animale morto. Io non lo reggo, quando mette il muso. E tanto lo so, come finisce…
-Dai, che faccia scura che hai…
-E’ che hai gli occhiali da sole. Toglili, no?- scherza lui, acido.
-No. Questa sole di nuvola mi da’ noia agli occhi.
-Shirley, su.
-No.
-Mi fai sentire fesso a parlare a due specchietti.
-Dai. Domani devo essere a Parigi, hai sentito. Gli occhi rossi non vanno più.
Lui se ne rimane imbronciato, così mi guardo intorno. Non è per niente bello, questo posto, d’estate. E dire che l’anno scorso sembrava così romantico. Le ostriche, però, sono da orgasmo. Se ripassa il cameriere alto di prima, gli chiedo un altro giro di n. 5.
-Shirley, io…
-Aspetta, vuoi vedere la cover di Vogue nuovo? Thierry dice che è la cosa più bella che ha fatto.
-Shirley, per me Thierry può anche morire.
-Guarda che non stiamo insieme. E’ solo un rapporto professionale.
-E con chi stai insieme, allora?
-Osvald, piantala.
E mentre dico questo, chissà perché, comincio a pensare a tutte le volte che ho sognato il volto di Osvald prima di incontrarlo.
-Come se non si sapesse in giro…
A quando ritagliavo le sue foto dai giornali.
-Cosa?
Alla scatola che tengo a casa, dove ci sono gli articoli, le riproduzioni delle sue foto, le lettere che gli ho scritto ma mai spedito.
-Che basta che uno ti sceglie per una copertina per portarti a letto.
Penso a tutte queste cose che lui non saprà mai e
-…Scelga. – dico, abbassando gli occhiali scuri e guardandolo.
Con uno sguardo di lieve, lievissimo disgusto.