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L’Fbi sequestra Megaupload. Ma chi è davvero il colpevole?



Ci sono notizie che ti scivolano accanto senza un sussurro. E altre che incendiano all’istante tutta la rete. Il sequestro di Megaupload da parte dell’Fbi e’ una di quelle news che ci hanno raggiunto — via Facebook, Twitter, chat, mail, web — praticamente in tempo reale. E che ha attirato immediatamente la nostra attenzione. E che magari ci ha fatto pure bestemmiare. Perche’ se vogliamo dire la verita’, quel sito, chi piu’ chi meno, lo abbiamo usato tutti. Perfettamente consapevoli che stavamo violando il diritto d’autore. Ma anche perfettamente a nostro agio. Perche’ l’opzione di scaricare quello che piu’ ci aggrada fa parte del Dna della rete che abbiamo sempre conosciuto.

Il Dipartimetno di giustizia americano e le major di Hollywood, nei loro comunicati stampa, strombazzano l’idea che con la chiusura di Megaupload, Megavideo e tutte le varianti di quel servizio, hanno spazzato via da internet un pericolosissimo covo di ladri. A noi questo ci fa sorridere. Perche’ sappiamo tutti benissimo che se vogliamo scaricare a sbafo ci sono dozzine di altre alternative. E l’esperienza del passato ci ha insegnato che appena un servizio di questo genere muore, ce ne sono altri dieci che ne prendono il posto. Ma ci fa anche un pochino incazzare. Perche’ dopotutto Megaupload era solo un parcheggio. Dove trovavi file caricati da una marea gente come noi. Pronti per essere scaricati da una moltitudine ancora piu’ grande di gente come noi. I ladri, insomma, a sentire tutti questi sbirri e avvocatoni gongolanti, saremmo noi. E questo non ci sta mica bene.

Prima di continuare, chiariamo una cosa: a me personalmente i padroni di Megaupload non stanno particolarmente simpatici. E’ vero che il fondatore di quel servizio, Kim Schmitz, aka Kim Tim Jim Vestor, aka Kim Dotcom, ha alle spalle un passato da hacker. E che diversi degli accusati erano gente che gli prestava semplicemente il suo lavoro come programmatori o come grafici. Ma erano anche una bella banda di sboroni. Che dopo aver guadagnato una paccata di milioni, se la tiravano sfoggiando uno stile di vita da mega ricconi, fra il grottesco e il surreale, con Kim in testa a tutti nel ruolo del re dei pacchiani.

Kim Schmitz, aka Kim Tim Jim Vestor, aka Kim Dotcom, fondatore di Megaupload.

Rispetto a tanti smanettoni idealisti, che sfidano la miopia delle leggi in vigore sul copyright, contribuendo alla gestione delle reti p2p, come i ragazzi di The Pirate Bay in Svezia, o i nostri connazionali di TNTVillage, Kim e la sua gang sono tutta un’altra storia. Ovvero degli scaltri businessmen. Che avevano trovato una bella piega nel sistema. Mettendo in piedi un servizio perfettamente legale e molto utile per fare una delle tante cose che ci piace fare in rete. Che e’ condividere file. E che non ci chiedeva nulla in cambio. Se non di sopportare tutti quei contatori, tutti quegli orologi, tutti quegli strozzabanda che razionavano il downloading gratuito. Piccole scocciature che potevi aggirare con un download manager. Oppure, se eri un po’ gonzo o piu’ danaroso, pagando una piccola cifra per un account premium. E tanto di cappello per Kim e i suoi soci se nel corso degli anni la somma di tutte quelle piccole cifre, tutte quelle piccole elemosine dei gonzi e dei danarosi, gli ha messo in tasca qualche centinaio di milioni. Anche se in questo non c’e’ assolutamente nulla di eroico.

SINISTRA IN ALTO – Schmitz, armato con un fucilone di grosso calibro, di fronte ad una delle sue auto di lusso con targa personalizzata (“GUILTY”); Schmitz immerso in un bagno schiuma; la sua villa in Nuova Zelanda; il sequestro di una parte della sua collezione di auto.

La tentazione, se ti fai sedurre dalla scenggiatura che ci propongono appunto le major di Hollywood, e’ proprio quella di vedere tutta questa operazione come uno scontro fra titani commerciali. Con Kim e la sua gang nella parte degli imprenditori emergenti. Che strizzando l’occhio ai pirati si inventano una piccola multinazionale. Con sede legale ad Hong Kong, sale macchina zeppe di server sparse per tutto il mondo, una rete commerciale capace di offrire in vendita miliardi di impressioni pubblicitarie. E le multinazionali del cinema, della musica, della tv e dei videogame nella parte del vecchio cartello d’affari. Inferocito dalla prospettiva che qualcun altro possa minacciare la rendita di monopolio di cui per lungo tempo ha goduto. Ma sopratutto irritato dalla percezione che Kim e la sua gang lo sbeffeggiassero pubblicamente. E quindi determinato a mettere in campo tutto il suo potere, scatenandogli contro un esercito di sceriffi, senza tanti scrupoli, per fare giustizia sommaria e ripristinare il vecchio ordine.

Questa percezione e’ stata sicuramente rafforzata dalla notizia che il Ceo di Megaupload sarebbe Kasseem Dean, aka Swizz Beatz, ovvero un rapper non particolarmente famoso, ma anche un producer molto prolifico e rispettato nel mondo dell’hip-hop, oltre che il marito della superstar Alicia Keys. Secondo le ultime dichiarazioni degli avvocati di Megaupload questa affermazione non sarebbe corretta, nel senso che nonostante il nome di Beatz apparisse nella pagina “Chi siamo” del sito come Ceo, l’artista non aveva ancora finalizzato il contratto con l’azienda. Ma quello che invece e’ certo e’ che Beatz si era adoperato per convincere colleghi del calibro di Kanye West e Will.I.Am a partecipare ad un video promozionale per Megaupload. Caricato su YouTube, proprio quel video aveva subito scatenato una richiesta di rimozione da parte dell’Universal Music Group per violazione del copyright. Richiesta a cui Megaupload aveva risposto con una causa legale, dimostrando invece che aveva tutti i permessi del caso. E ottenendo cosi’ la sua ripubblicazione e una marea di pubblicita’ gratuita (il video e’ stato visionato al momento da piu’ di 12 milioni di persone!).

In questo scenario da classico del cinema americano, con i vecchi boss che se la prendono con gli ultimi arrivati, perche’ osano sfidare il loro potere in citta’, e peggio ancora fanno comunella con i rapper neri, prospettandogli un futuro di emancipazione dai padroni delle piantagioni, manca pero’ un elemento fondamentale, perche’ riduce tutti noi al ruolo di semplici spettatori. Quello che invece e’ indispenzabile ricordare e’ che Megaupload era un business che aveva scelto di giocare rispettando le regole. Nonostante avesse sede all’estero, aveva accettato di adeguarsi al Digital Millennium Copyright Act, la normativa americana sul diritto d’autore che gli Stati Uniti stanno di fatto imponendo come standard mondiale. Questo vuol dire che aveva istituito procedure per permettere ai detentori dei diritti di segnalare violazioni, aveva disseminato sulle sue pagine link ad un apposito “abuse tool”, e cancellava regolarmente molti file cosi’ identificati.

Accusare Megaupload di associazione a delinquere, chiudendo il sito prima ancora che fosse processato e condannato, e minacciare di sbattere in galera il suo fondatore per mezzo secolo, assieme a tutti i suoi collaboratori, e’ quindi qualcosa di piu’ di una mazzata sleale ad un concorrente scomodo. Vuol dire renderlo responsabile dei comportamenti di tutti i suoi utenti. Senza fare alcuna distinzione fra i pirati (che senza dubbio erano tanti) e chi lo sfruttava per trasmettere e scambiare materiali assolutamente legali (un altro uso molto diffuso anche se meno vistoso). Questo, a sua volta, vuol dire che il vero bersaglio di questa operazione siamo noi. La net generation. Il popolo della rete. Tutta la gente che ormai da un decennio, a colpi di click del mouse, ha decretato che nell’era del digitale le vecchie norme sul copyriht sono obsolete. E si rifiuta di rinunciare al diritto di scambiarsi in rete quello che gli pare.