Scopri l'universo
espanso di Gold
Gold enterprise
Goldworld Logo
MARIO MONICELLI NE SAREBBE FIERO
Cinema

“Ci serve una barca più grossa” | Uno sguardo al VRE 2020



Ci eravamo lasciati appesi ad una boa nelle acque di Amity, in cerca della bagnarola più grande del titolo. Stavolta “andiamo a caccia di squali” sopra la baleniera del VRE 2020 di Roma.

Il Virtual Reality Experience festival, alla sua seconda edizione – quest’anno quasi totalmente virtuale per far fronte alla situazione attuale (che sembra ormai farci boccheggiare a mezz’acqua più pericolosamente che squali bianchi e orche assassine) – è uno dei pochi nel mondo dedicato interamente al cinema in VR e alle Realtà Estese (XR).

“Lockdown 2020” e “When we stayed at home – Venice”

Approdiamo dalle acque di Amity a quelle di Roma trainati direttamente da “Lockdown 2020” di Omar Rashid, in concorso al festival; al VRE ci si immerge poi di nuovo nell’alienante situazione della quarantena italiana di Marzo con “When we stayed at home – Venice”, che racconta la Laguna di Venezia con la voce di Alex Hai, primo gondoliere transgender di Venezia.

Moondust-VRE_2020-goldworld
Moondust

“1st Step” e “Moondust”

Due invece i film dedicati allo sbarco sulla luna: “1st Step” di Jörg e Maria Courtial che ricostruisce i viaggi degli equipaggi dell’Apollo 11 e 17, rispettivamente i primi e gli ultimi essere umani ad aver messo piede sul suolo lunare; dedicato invece al ritorno del mitico gruppo dell’Apollo 11, “Moondust” di Noemi Forti.

Quest’ultimo forse uno degli esperimenti più potenti presentati al VRE: viviamo con Collins, Armstrong e Aldrin, la prima fase della loro quarantena al ritorno della spedizione, avvenuta nell’air stream.
Il visore ci cala nell’opprimente cella dell’air stream, con solo un piccolo oblò a mostrare a noi ed ai tre astronauti il mondo terrestre. Viviamo la sensazione di trovarci in un nonluogo, uno spazio a metà fra quello di tutti i giorni, che vive oltre il vetro opaco dell’oblò, e quello aperto, immenso e terribilmente maestoso dello spazio e della luna; che torna come un flashback nei ricordi e nella percezione dei tre astronauti e, per gioco di metafora e di realtà aumentata, anche nella nostra.

The_Real_Thing-VRE_2020-goldworld
The Real Thing

“H.O.M.”, “The Real Thing” e “Sanctuary of Silence”

Italiano anche “H.O.M.”, di Girolamo Da Schio, uno dei corti più lunghi in concorso, che tenta di portare un vero e proprio film di fiction (un dramma psicologico a tinte horror) al medium della VR.

Lo spazio più ampio della selezione è occupato dai documentari, che, quasi ontologicamente, meglio si prestano alla tecnologia della realtà aumentata. Fra i molti (ben 13 film sui 24 in concorso!) “The Real Thing”, che immerge fra le architetture delle città cinesi che sono la copia perfetta di quelle europee come Parigi, Venezia e Londra.
I cittadini cinesi intervistati si chiedono cosa spinge a voler immergersi il più possibile nelle architetture di metropoli distanti chilometri e chilometri, cosa significhi realmente vivere un luogo, se si fermi al mero sguardo o se e cosa altro comporti. Quali sensazioni proverebbero se visitassero quei luoghi solo riprodotti nelle loro città. E se lo chiede anche lo spettatore, la cui sensazione di surrealtà è amplificata dall’utilizzo della VR, il medium che, applicato al documentario, meglio sposa questa filosofia.

Quanto possiamo davvero trovarci nei luoghi che si dipanano a 360° attorno al visore, dove e quando nell’esperienza visiva sentiremo la differenza?
Non si tratta infatti solo di vedere attraverso il visore, ma anche di sentire ed ascoltare: è il caso di “Sanctuary of silence” di Adam Loften e Emmanuel Vaughan-Lee; che ci porta nel parco nazionale Olympic, uno dei parchi considerati più silenziosi del Nord America, assieme all’ecologista acustico Gordon Hempton.

Passenger-VRE_2020-goldworld
Passenger

“Saturnism”, “Black bag” e “Passenger” 

Molti anche i film animati: dal breve ed interessante “Saturnism”, che ambisce a far entrare lo spettatore all’interno del dipinto “Saturno divora suo figlio” di Goya, ai bellissimi “Black bag” e “Passenger” dalla 76th Mostra del Cinema di Venezia.
Il primo, graficamente, a metà fra un videogioco platform anni ’90, le animazioni futuristiche di Akira e la “gloria e vita della nuova carne” del “Videodrome” di Cronenberg.
L’ultimo, invece, è un viaggio notturno in stopmotion sul retro di un taxi, attraverso vie che mutano al nostro passaggio, oniriche visioni e la chiacchiera introspettiva del nostro tassista/novello Virgilio pennuto.

ragnar_di_marzo-The_motorist-VRE_2020-goldworld
The “?” Motorist

“The ‘?’ Motorist”

Infine, a chi scrive preme citare “The ‘?’ Motorist” di Ragnar di Marzo. Forse non il film che più sperimenta attraverso la Virtual Reality nella selezione (anzi, è visibile anche in versione lineare gratuitamente su Youtube), ma, proprio perché fruito attraverso di essa, acquista una potente carica simbolica. Il corto, dedicato a Walter R. Booth mostra una Ford T che arriva sulla luna, con due donne à la Belle Epoque alla guida; dove si trova un piccolo e splendido cinema di inizio XIX secolo, con tanto di poster di pellicole classiche, e al cui interno viene proiettato il film originale di Booth.

Viene in mente, guardando la Ford che arriva sul satellite terrestre o “Moondust” e “1st Step”, Melies e il sogno dei primi registi di portare il pubblico sulla luna. O ancora, le primissime sale Nickelodeon, dove per pochi cent il pubblico poteva guardarsi il proprio film ficcando direttamente la testa dentro lo schermo di una sorta di preistorico jukebox filmico. E infine, saltando direttamente alle origini, la leggendaria fuga degli spettatori alla visione dell’Arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat dei fratelli Lumière (anche se è ormai appurato che il pubblico non si sia realmente spaventato, l’aneddoto si è radicato così a fondo nella mitologia della storia del cinema che possiamo considerarlo reale).

Dai suoi albori, il cinema sogna di far entrare dentro la sua realtà di pellicola. Guardando il film di di Marzo e tutto il nuovo cinema VR, viene da chiedersi se forse una barca più grossa non l’abbiamo già trovata.