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È STATO MEGLIO DI UNA STRIPPATA
MUSIC

Rap the Casbah! DARG Team, Da Arabian Revolutionary Guys



“Di solito passiamo il tempo cercando di capire che tipo di musica dovremmo produrre, cerchiamo di capire cosa succede a Gaza, perchè questo è l’ambiente dal quale provengono le nostre idee…” Chi parla è Fadi, manager e direttore artistico del collettivo DARG Team. L’acronimo sta per Da Arabian Revolutionary Guys (I ragazzi arabi rivoluzionari) e l’occasione per fare una chiacchierata con questa crew palestinese me la offre il live che il gruppo ha tenuto al Centro Sociale Ex Emerson di Firenze. Il dj non è potuto andare in tour col resto della crew per motivi personali, per cui sulle ruote d’acciaio ha fatto la sua bella figura il nostro local hero Dj Morph (Sardust/ OTK/ Get Electrified Crew).


Il DARG Team live al Centro Sociale Ex Emerson

Esiste una scena hip hop in Palestina? Oppure voi rappresentate una bella eccezione?

Si, esiste una grossa scena hip hop in Palestina, e per Palestina intendo la striscia di Gaza, West Bank (la Cisgiordania) e la parte con i 48 territori occupati. Ci sono molti gruppi come DAM e Lands of 48. A Gaza ci siamo noi e un altro gruppo chiamato P.U.. In Cisgiordania invece ci sono i Ramallah Underground e gli Storm. La scena si sta allargando ogni giorno, e ci sono sempre più persone che si uniscono alla “nuova rivoluzione”, come mi piace chiamarla. Rappresentiamo tutti la Palestina, ma quello che facciamo a Gaza è leggermente diverso da quello che fanno nel West Bank o nei territori, perchè quello che viviamo noi è peggiore di quello che avviene in altre zone, e questo si riflette sui nostri testi. Non dico che l’hip hop nel West Bank sia peggiore, dico solo che nel nostro c’è più gusto.


Il video di “Born Here” dei DAM

Perchè avete scelto l’hip hop come veicolo per le vostre idee?

Perchè non abbiamo delle belle voci! [Ride] E’ abbastanza noto che, all’interno della cultura araba, se vuoi cantare, beh, devi avere una gran voce. E nessuno di noi possiede una gran voce, a parte Sammy. Ma noialtri? Non vuoi sentirci cantare nemmeno quando siamo sotto la doccia. Il rap, pero, è parole libere che escono dalla tua testa: non devi suonare BENE, devi suonare GIUSTO. E noi suoniamo giusto. E’ un talento che abbiamo dentro, e la cosa bella dell’hip hop è che non ci sono limiti, non ci sono ostacoli di sorta, puoi parlare di quel che vuoi, che poi è il motivo per cui mi piace chiamarlo “la musica della gente libera”. La musica in generale, e l’hip hop in particolare, è oramai un linguaggio universale. Il rap è anche il linguaggio della rivolta, e noi vorremmo fare quello che i nostri fratelli afro-americani hanno fatto negli Stati Uniti, con la differenza che da noi non si tratta di una questione di colore, ma di nazionalità e di religione. Il tipo di oppressione che subiamo da parte di Israele ci ha portato a voler denunciare la situazione. Cercavamo un punto in comune con la cultura occidentale, per farci ascoltare da tutto il mondo, e l’abbiamo trovato nell’hip hop.

Come tu stesso hai sottolineato, il rap è una forma d’espressione di origine occidentale. Qual’è stata la prima reazione dei tuoi connazionali quando vi hanno visto dal vivo?

All’inizio, prima ancora di cominciare a suonare a giro, la gente ci odiava perchè avevamo un look diverso.

Intendi i vestiti?

Esatto. Avevamo appreso questa cultura “così com’è”, quindi col look trendy, il bling bling, ecc., ecc. L’avevamo interpretata male. Volevamo somigliare a degli americani. Quindi la gente di Gaza ci mostrava ostilità, perchè non sembravamo più dei palestinesi ma degli stranieri. A Gaza il modo di pensare prevalente è molto conservatore e non accetta facilmente le altre culture. Allora, quando ci siamo resi conto che vestendoci semplicemente come nei video occidentali non stavamo facendo nulla di buono per l’hip hop, abbiamo pensato di realizzare una nostra versione “custom” palestinese dell’hip hop. Abbiamo iniziato a sfoggiare un look a metà tra l’americano ed il palestinese, ed a quel punto la gente ha cominciato ad accettarci. Per quanto riguarda la musica, abbiamo scelto musica che rappresentasse la cultura araba e non quella occidentale, così che quando le persone ascoltavano i nostri pezzi erano in grado di riconoscere i campioni tratti da brani famosi della musica araba. In questo modo i nostri ascoltatori potevano sentirsi collegati alla loro cultura anche ascoltando l’hip hop. Poi abbiamo iniziato a “filtrare” i testi. Nella nostra cultura è irrispettoso usare parolacce, ad esempio, di fronte alle donne. L’idea era “se tua mamma può ascoltarlo, allora possono farlo tutti”. In questo modo potevamo avere più supporto dai palestinesi, che sono la nostra gente e la nostra base. Insomma, siamo partiti così: abbiamo cominciato male, ma poi ci siamo migliorati, perchè se vogliamo arrivare da qualche parte, dobbiamo prima di tutto fare bene a Gaza.

Non credo che per agli appassionati italiani di hip hop sia facile riuscire ad immaginare cosa vuol dire vivere in un luogo come Gaza. Aiutaci a capire meglio: come passate le vostre giornate?

Ci sentiamo spesso durante la settimana, e ci becchiamo per lo più a casa di qualcuno, perchè non è che a Gaza ci siano tutti questi posti per uscire. Fondamentalmente siamo dei ragazzi che cercano di rilassarsi, ritrovarsi, comunicare, fare musica e cercare di divertirsi un po’… Ci piace inoltre cercare di collaborare con artisti di tutto il mondo. Siamo interessati a quelli underground, non commerciali, e dai testi conscious. Se facessimo musica solo in arabo, il nostro messaggio non potrebbe arrivare a tutti. Al momento abbiamo realizzato tre album. Il primo era solo in arabo, il secondo in arabo e francese, mentre il terzo comprendeva anche l’inglese. Nell’ultimo disco, per dire, c’è un mc egiziano, uno danese, uno norvegese, più altri di paesi dove il nostro messaggio è già arrivato.

Che tipo di storie raccontate nei vostri testi?

Parliamo di tante cose. Parliamo di Gaza, dell’occupazione, dei diritti dei palestinesi, della storia del nostro paese, e di come questa sia stata condizionata da un fottuto piano del cazzo nel quale non avevamo scelta. Tutto era già stata pianificato prima. Parliamo anche di religione, ingiustizia, parliamo di tutto. Conflitti interni, unità, Hamas. Critichiamo sia Hamas che Fatah, perchè entrambe sono state negative per i palestinesi, e la gente ci apprezza per questo. Tastiamo il polso e diamo voce alla strada palestinese. Parliamo di Vittorio Arrigoni, un amico, che è un morto palestinese prima di essere un morto italiano.

Passando alle cose pratiche: cosa vuol dire nel quotidiano fare hip hop nella striscia di Gaza? Mi riferisco, ad esempio, a trovare un microfono, le puntine dei giradischi, uno studio di registrazione.

Questa cose a Gaza ci sono, non sono introvabili, ma sono estremamente costose. Durante questo tour stiamo cercando di comprare un po’ di cose – microfoni, casse, mixer, campionatore, tutto il pacchetto – per costruire un nostro studio. A Gaza questo è veramente difficile. In tutta la striscia c’è un solo studio di registrazione ed un solo sound system efficace e, grazie a Dio, il nostro dj lavora in quello studio [ride]. Di solito, per fare un live, o qualcosa di simile a un live, è veramente difficile trovare la strumentazione, specialmente per l’hip hop.

Dov’è il vostro dj?

E’ in Palestina, aveva degli esami e non è potuto venire con noi.

E’ lui che produce i vostri brani?

Per la maggior parte si.

Quando vi siete avvicinati al mondo dell’hip hop chi vi ha influenzato per primo?

Se parlo a nome del gruppo e non solo mio, quello che realmente ha provocato in noi un cambiamento è stato l’hip hop arabo. Mi riferisco in particolare ai DAM e a Shadia Mansour. Quando abbiamo iniziato ad ascoltare loro abbiamo SENTITO qualcosa, un’influenza che poi si è propagata su tutta Gaza. Ci siamo detti: “Ok, dobbiamo fare qualcosa anche noi”. E’ hip hop che tratta di problemi veri, è hip hop che non fatto nel classico modo, è rivoluzionario. Per quanto riguarda l’occidente, e l’America in particolare, potrei citarti 2Pac come uno dei più grandi artisti che abbia mai ascoltato. Per quanto mi riguarda, posso dirti che “Changes” è stata una delle canzoni che mi hanno realmente cambiato la vita. Citerei anche Mos Def, i Jurassic 5 ed i Dead Prez. In generale direi tutto l’hip hop conscious e underground.


Il video di “Don’t fucking touch my keffiyeh” di Shadia Mansour

Cosa pensi del modo in cui viene trattata la situazione palestinese sui media occidentali?

Semplicemente mi metto a sedere e rido. “Fanculo!” mi vien da pensare. Veramente ascoltate questa roba? Veramente ci credete? Venite a Gaza e guardate coi vostri occhi. Alcuni network Tv falsificano pesantemente la realtà. Seguono l’ordine del giorno di Israele e della sua lobby. E’ raro, purtroppo, trovare un network Tv indipendente che racconta la realtà vera dei fatti. Quindi siamo dispiaciuti, non per noi stessi ovviamente, ma per quelli che sono portati a credere a queste stronzate.

Mi rendo conto che questa è una domanda un po’ complicata, ma quali sono oggi i tuoi sentimenti verso Israele?

[Attimo di silenzio…] Beh ci hanno occupato. C’è l’occupazione, non ci sono sentimenti. Non posso parlare di odio, ma c’è un’occupazione che deve finire. Vogliono costruire una nazione? Benissimo, lo facciano, ma lo facciano lontano da noi. Questo è quel che penso.

Che sviluppi prevedi per la situazione palestinese?

Finchè esiste Israele? Non credo ci potrà mai essere nessun tipo di progresso o sviluppo, perchè Israele mente continuamente, fa promesse che non può mantenere, trova sempre scuse per bombardarci. Quindi no, non c’è soluzione con Israele perchè loro mentono.

E cosa pensi della “primavera araba”?

Penso che sia arrivato il momento giusto. Noi arabi abbiamo dovuto sopportare il fardello di questi vecchi governi troppo a lungo. Penso che sia l’ora che il popolo capisca che, se è unito, può ottenere qualcosa. Che capisca che i governi devono lavorare per noi, e non il contrario. E per questo che noi di DARG sosteniamo i giovani, uomini e donne, che hanno fatto parte di questa rivoluzione, e rispettiamo le anime dei martiri che si sono sacrificati in tutti questi paesi. Qui in Medio Oriente abbiamo dormito a lungo ma il nostro risveglio sarà molto forte. Sono felice e mi auguro che paesi come l’Egitto o la Tunisia, la Libia o la Siria o lo Yemen, possano trovare la libertà, l’indipendenza, l’uguaglianza, i diritti e la prosperità che stanno cercando, così come spero che la nostra occupazione abbia termine. Se tutti questi paesi saranno realmente liberi, allora anche la Palestina sarà presto libera.

Ok, un’ultima domanda: qual’ è l’aspetto più sconosciuto o frainteso della Palestina che vorresti comunicare ai nostri lettori?

Direi loro che la Palestina non è un paese diverso dal vostro. I palestinesi non sono diversi da voi. Siamo esseri umani, esattamente come voi. E abbiamo gli stessi scopi, sogni e ambizioni. Vogliamo costruire un futuro migliore, vogliamo vedere i nostri figli andare a scuola, e poi all’università per laurearsi e diventare dottori o ingegneri o operai. Non credete alle stronzate che vi raccontano in Tv. Andate su internet, cercatevi le notizie, guardate le cose con i vostri occhi. Cercate la nostra musica, e cercate qualcuno che possa tradurvi i testi, così capirete di più la nostra situazione. Perchè la musica è vera e non mente. Quindi, fondamentalmente, direi alla gente di pensare due volte prima di giudicare i palestinesi.


Il video di “23 Days” del DARG Team

Il DARG Team su MySpace: http://www.myspace.com/dargteamgaza
La pagina Facebook del gruppo: http://www.facebook.com/dargteam

Le foto che illustrano questo articolo sono di Emanuela Nuvoli