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Doggumentary



Dopo il ritorno sulle scene dei Beastie Boys, oggi parliamo del come back discografico di un altro personaggione, questa volta proveniente dalla costa opposta: è Snoop che con “Doggumentary” inanella il suo undicesimo album in studio (se non è un record, in ambito hip hop, poco ci manca).

Mi approccio all’ascolto di questo disco con atteggiamento completamente opposto a quello avuto in sede di recensione per “The hot sauce committee part2” : se dal disco dei Beastie mi aspettavo cose incredibili, rimanendo poi in fondo un po’ deluso, dal disco di Snoop mi aspettavo davvero poco e invece “Doggumentary” non mi ha deluso.

Per niente.

Snoop è un po’ un caso unico nel rap mondiale: è fra i pochi, pochissimi, degli anni 90 che riesce a mantenere una produzione consistente e ad avere praticamente lo stesso successo che aveva negli anni ’90. Mica facile eh. Vi viene in mente qualcun altro? Ok, Jay-z,e poi?

Snoop è un mezzo genio, riesce a fare undici dischi in studio avendo solo 4 argomenti da sempre (la ganja, le donne, il funk di Clinton e l’amata California) mica roba da tutti.

E’ uno che quando potresti pensare che il suddetto rapper non abbia più niente da dire, se ne esce con una “Drop it like it’s hot” che in fondo è un suggerimento. E’ come se Snoop uscisse dal monitor per entrare nella tua testa e suggerirti col suo inimitabile flow “che stavi per scrivere su di me amico? Pensa di nuovo.”

E’ anche quello che poi, una volta che ci hai nuovamente fatto pace, offre un inutile cameo in un insulso video di Katy Perry che finirà per ammorbare inevitabilmente la tua estate.

E’ così, prendere o lasciare.

Arriviamo così a Doggumentary, disco lunghissimo (21 tracce!!) ma decisamente soddisfacente nel suo ascolto, se si tengono in conto le caratteristiche or ora elencate.

Il disco, come spesso accade nei lavori del rapper di Long Beach, è infarcito di ospiti e si sposta tu toni diversi, mettendo in evidenza tutto lo spettro stilistico di Snoop Dogg. L’opener è “Toyz n da hood” con Bootsy Collins a far da cerimoniere, ma tra le tracce del disco una menzione d’onore va sicuramente a “Wonder what it do” (perla di g-funk in grado di farti sentire in California per 3 minuti e 43 secondi), l’esplicita “The weed is mine” , joint (è proprio il caso di dirlo) venture assieme a Wiz Khalifa (violascuro, violascuro, viola..ops! volevo dire black&yellow, black&yellow, black&yellow..) e la reggeggiante “Sumthin like this night” in compagnia dei lanciatissimi Gorillaz.

Velo pietoso invece su “wet” singolone dell’album che vede il nome di Snoop accostato a quello di David Guetta con risultati che potete facilmente immaginare.

La vera pecca del disco è forse la sua eccessiva lunghezza: con qualche guest in meno ed una tracklist più compatta, Doggumentary sarebbe risultato sicuramente più godibile. Così com’ è, il ritorno di Snoop è un buon disco, che merita l’ascolto se siete o siete stati fan del rapper di Long Beach. Ma non aspettatevi un altro disco Doggystyle, quello sarebbe un errore. Da parte vostra.