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UNA VOLTA ABBIAMO UCCISO KENNY
MUSIC

Sklero Man va Controvento



In un momento in cui il vento tira nello stesso senso, c’è chi ribadisce il proprio bisogno di distinguersi dalla massa, che poi sarebbe una delle prerogative della cultura di cui mi sono innamorato circa 30 anni fa (fa paura dirlo!)

Ad andare Controvento in questo caso è Sklero Man, emcee piemontese che ci dimostra che si può fare musica senza bisogno di appiccicarsi addosso etichette. Il suono dell’album è tanto moderno quanto classico, accontenta i palati dei puristi senza suonare vecchio, in pratica fa il cazzo di rap che gli piace per sé, senza pretendere di piacere, anche se ci riesce alla grande.

“Controvento”, quanta fatica costa muoversi in direzione contraria all’andazzo della massa?

Dipende da quanto sei coerente con te stesso: se questa cosa la fai per te, prima di tutto, non è così difficile. Io sono così, trasparente, e chi mi conosce lo sa. Non ho bisogno di fingermi o reinventarmi per fare la hit o il “pezzo per l’estate”, voglio raccontare qualcosa o comunque fare quel pezzo dritto che ti fa muovere la testa. Non mi interessa essere di “moda” o seguire i trend del momento. Poi, ovviamente, ci sono i lati negativi nell’essere “controvento”. Oggi più che mai, conta più l’immagine, basti solo a pensare ai social: trovo difficilissimo mettermi in mostra. Io penso ai beat, alle rime, alle tematiche, mentre chi si avvicina oggi a questa disciplina cura prima l’immagine: la scarpa figa, il giubbotto di marca. Questo mi mette in difficoltà nei confronti dei ragazzini che preferiscono un idolo più “brandizzato”. Ma io non sono così, fatico a esserlo, anche se oggi bisogna guardare anche quell’aspetto e quindi di conseguenza ci si sforza.

Hai un timbro particolare, una voce graffiata che ti rende molto riconoscibile. Hai lavorato su questo aspetto o è il tuo timbro naturale?

Sinceramente non ci ho mai fatto caso. È la prima volta che me lo si fa notare, comunque è il mio timbro naturale di voce quando rappo, non ci ho mai lavorato sopra.

Hai un background fatto di rap ma anche di writing, come ti sei avvicinato a queste discipline?

Mi ci sono avvicinato negli anni ’90 attraverso lo skate e la mia passione per la cultura americana. Sono nato in provincia e se già nelle grandi città arrivava poco, di hip hop o di cultura street, da noi arrivava ancora meno, mi trovavo così a estrapolare da tutto, film, riviste. Il writing è stata la prima disciplina e passione a cui mi sono approcciato, i graffiti erano lo sfondo delle fanzine che acquistavo, ho frequentato poi l’istituto d’arte, da ragazzino, quindi il disegno è stato da sempre un elemento fisso nella mia vita. Il passaggio dai pennarelli alle bombolette è stato praticamente naturale. Così sono partiti i primi esperimenti con gli spray.

Nel disco troviamo partecipazioni illustri, come sono nate queste collaborazioni?

Le collaborazioni sono nate dalla mia stima verso gli artisti e la loro abilità di scrittura. Ogni collaborazione è differente e la trovo azzeccata per il tipo di argomento trattato e lo stile del pezzo. Sono rimasto felice che gli stessi artisti abbiano partecipato con interesse a queste mie idee.

Mi incuriosisce la cover art del disco, un groviglio di tentacoli ordinato ed in perfetta simmetria dominato da un corvo che tiene un occhio nel becco. Me lo spieghi?

Il disegno di questa copertina è il frutto di uno dei miei pensieri contorti, realizzato dal grande artista Jon Zig, noto nell’ambiente death metal per le sue copertine. Al centro troviamo la testa di un corvo mutante che si è evoluto per adattarsi al mondo violento e malato di oggi; si è corazzato con punte d’ossa, tentacoli per sopravvivere alle avversità e per continuare a volare controvento. Dietro la testa c’è una lama rotante, uno dei miei simboli, quasi come un’aureola a protezione del corvo.

L’occhio nel becco è il terzo occhio, che in alcune culture religiose è visto come l’organo capace di vedere l’invisibile o realtà che vanno oltre quella umana. Nell’insieme, il corvo vola controcorrente (Controvento) alla massa, protetto dalla mia lama rotante, e scruta con il terzo occhio verità insondabili alla gente comune. La scelta del corvo è dovuta al fatto che è un’animale ricco di significati all’interno di molte mitologie e religioni. Visto come animale di protezione o come fedele compagno, basti pensare ai due corvi di Odino, il quale lasciava liberi i suoi corvi, Huginn e Muninn, ogni giorno per sapere cosa stava accadendo nel mondo. Mi sento rappresentato molto da questo animale che calza perfettamente con la mia idea e il mio immaginario.

“Panico”, il primo estratto dell’album, è una manata: è uno di quei brani che ti esaltano anche se in realtà sei tu che esalti te stesso. Anche se, poi, ci dici che arrivi sopra al palco per farti male. Perché?

È una metafora, anche se molti l’hanno presa sul serio. “Salgo sopra al palco per farmi male” è per dire che quando salgo sopra a un palco do tutto me stesso, il pubblico si aspetta che io dia il massimo e così deve essere.

Un altro brano che mi ha colpito è “Calma Apparente”. È uno storytelling horror che descrive le gesta di un essere malefico, a cosa ti sei ispirato?

“Calma apparente” è ispirata a “Jeepers Creepers”, un film horror del 2001. La trama parla di due ragazzi braccati da una famelica creatura. Ho cercato di raccontare nel brano la mia visione di quello che mi ricordavo del film, senza andare a raccontare la trama, ma come se fosse uno spin off personale.

Il boom cha classico arriva con i beat che accompagnano i rap di “La Santa” e “Non c’è cura”, entrambi prodotti da DSR beat. Mentre nel primo descrivi le gesta di un’oscura signora, nel secondo torni ad infottarci con la tecnica. Ci parli di questi testi? In che tipo di scrittura ti trovi più a tuo agio?

Non ho una preferenza. Entrambi i testi hanno avuto il loro grado di difficoltà. Ne “La Santa” parlo del culto della santa muerte e vuole essere un omaggio a lei perché ci sono particolarmente legato, data la mia formazione di tatuatore e il mio amore per la cultura chicana. In un testo del genere, la difficoltà sta nel ricercare e nel reperire le informazioni giuste e corrette per scrivere cose che non siano banali o che non si rifacciano ai soliti luoghi comuni. In “Non c’è cura” mi ha dato filo da torcere scrivere due strofe che chiudano con la stessa rima, soprattutto la difficoltà della lingua italiana, del nostro vocabolario, non aiuta di certo. In generale, però, mi ha divertito e mi ha stimolato scrivere entrambi i testi, perché mi piace trovare sempre nuove sfide per mettermi alla prova e testare cose nuove.

Più ascolto il tuo disco, più mi convinco che il tuo suono non assomiglia agli altri, sei riuscito a rimanere fedele al titolo dell’album. Ma te cosa ascolti?

Ti ringrazio molto, terminare un progetto così grande e sentirmi dire che sono rimasto fedele è per me un buon risultato. Principalmente ascolto rap americano: Vinnie Paz, Slaine, Ill Bill, Necro, Sean Strange ecc.Ma nell’ultimo periodo mi sono spostato più a nord, verso alcuni artisti canadesi come Snak the Ripper o Merkules che hanno un suono più fresco pur mantenendo un’attitudine hardcore.

Per concludere: andando “Controvento”, speri che la tendenza della scena sia quella di seguire il tuo esempio oppure ti muoveresti in direzione opposta anche se il vento cambiasse direzione?

Anche se cambiasse il vento, rimarrei coerente con le mie idee, continuerei a fare quello che faccio.